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Solo la circolarità può “guarire” la carenza di materie prime. Il Rapporto 2022 Cen-Enea

Il quarto rapporto del Circular Economy Network, con un contributo ad hoc di ENEA sulla simbiosi industriale, si incentra sulla difficoltà di reperimento delle materie prime e dell’energia. Per raggiungere l’autosufficienza serve puntare sul disacoppiamento tra crescita e risorse

La carenza di materie prime e il loro prezzo che va alle stelle. Governi e imprese e di tutto il mondo fanno i conti con un problema la cui soluzione è a portata di mano: si chiama economia circolare. Prima la pandemia e ora la drammatica crisi ucraina hanno distolto l’attenzione dalla crisi dell’economia lineare. Eppure la circolarità è anche almeno in parte una risposta a questi fenomeni, purché ci sia la capacità di rimettersi in discussione.

È quanto emerge dal Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2022, giunto alla sua quarta edizione. Lo studio è realizzato dal Circular Economy Network (CEN), la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile assieme a un gruppo di aziende e associazioni di impresa, in collaborazione con Enea, ed è stato presentato oggi dal presidente CEN, Edo Ronchi, e dal direttore del Dipartimento sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali Enea, Roberto Morabito, alla presenza del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Andrea Orlando e di Paola Migliorini, vice capo unità economia circolare, DG Ambiente della Commissione Europea. La conferenza è patrocinata dal Ministero della Transizione ecologica e dalla Commissione Europea.

“La crisi climatica e gli eventi drammatici degli ultimi due anni, con l’impennata dei prezzi di molte materie prime, dimostrano che il tempo dell’attesa è finito. È arrivato il momento di far decollare senza ulteriori incertezze le politiche europee a sostegno dell’economia circolare”, ha dichiarato Edo Ronchi, in passato ministro dell’Ambiente nel governo Prodi I e nel D’Alema I e II. “Le nostre economie sono fragili perché per aspetti strategici dipendono da materie prime localizzate in larga parte in un ristretto gruppo di Paesi. È un nodo che rischia non solo di soffocare la ripresa, ma di destabilizzare l’intera economia con una spirale inflattiva. Ed è qui che l’economia circolare può fare la differenza trovando all’interno del Paese le risorse che è sempre più costoso importare. L’obiettivo che l’Italia si deve porre è raggiungere il disaccoppiamento tra crescita e consumo di risorse“.

Gli spunti che derivano dal rapporto e dalla conferenza del Cen sono comunque tanti: sono stati individuati più di 50 indicatori, attraverso un procedimento di ricerca innovativo. La presentazione del rapporto si è svolta questa mattina sia in presenza presso il Nazionale Spazio Eventi di via Palermo, a Roma, che in streaming, per un totale di oltre 2000 iscritti.

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I numeri dell’economia circolare in Italia

I dati globali, sotto questo profilo, parlano chiaro: tra il 2018 e il 2020 il tasso di circolarità è sceso dal 9,1% all’8,6%. Negli ultimi cinque anni i consumi sono cresciuti di oltre l’8% (superando i 100 miliardi di tonnellate di materia prima utilizzata in un anno), a fronte di un incremento del riutilizzo di appena il 3% (da 8,4 a 8,65 miliardi di tonnellate). La diminuzione dei consumi durante la prima fase della pandemia, nel 2020, è già un ricordo. Così come i buoni propositi: sprechiamo ancora una gran parte dei materiali estratti dagli ecosistemi.

In questo senso il Vecchio Continente va a velocità molto diverse. In media in Europa nel 2020 sono state consumate circa 13 tonnellate pro capite di materiali. Ma tra le cinque maggiori economie al centro dell’analisi del quarto Rapporto del Cen – vale a dire Italia, Francia, Germania, Polonia, Spagna – le differenze sono consistenti: si va dalle 7,4 tonnellate per abitante dell’Italia alle 17,5 della Polonia. La Germania è a quota 13,4 tonnellate, la Francia a 8,1, la Spagna a 10,3.

Nel 2020 per nessuno dei cinque Paesi europei esaminati si è registrato un incremento nella produttività delle risorse. In Europa nel 2020, a parità di potere d’acquisto, per ogni kg di risorse consumate sono stati generati 2,1 euro di PIL. L’Italia è arrivata a 3,5 euro di PIL (il 60% in più rispetto alla media UE).

Il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo misura il contributo dei materiali riciclati alla domanda complessiva di materia. Nel 2020, ultimo anno disponibile a livello di dati, il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo nell’UE è stato pari al 12,8%. In Italia, sempre nello stesso anno, il valore ha raggiunto il 21,6%, secondo solamente a quello della Francia (22,2%) e di oltre 8 punti percentuali superiore a quello della Germania (13,4%): un risultato che da questo punto di vista ci pone ai vertici europei.

Notizie positive per l’Italia anche sul fronte rifiuti. In Italia la percentuale di riciclo di tutti i rifiuti ha raggiunto quasi il 68%: qui siamo in presenza addirittura del dato più elevato dell’Unione europea. Tra le cinque economie osservate, l’Italia è quella che al 2018 ha avviato a riciclo la quota maggiore di rifiuti speciali (quelli provenienti da industrie e aziende): circa il 75%. Per quanto riguarda i rifiuti urbani (il 10% dei rifiuti totali generati nell’Unione europea) l’obiettivo di riciclaggio è del 55% al 2025, del 60% al 2030 e del 65% al 2035. Nel 2020 nell’UE 27 è stato riciclato il 47,8% dei rifiuti urbani; in Italia il 54,4%. Sempre nel 2020 i rifiuti urbani avviati in discarica in tutta l’UE sono stati il 22,8%. Dopo la Germania, le migliori prestazioni sono quelle di Francia (18%) e Italia (20,1%).

Ci sono invece settori in cui l’Italia è in netta difficoltà. Uno è il consumo di suolo: nel 2018 nella UE a 27 Paesi risultava coperto da superficie artificiale il 4,2% del territorio, mentre l’Italia viaggia al 7,1% (seconda sola alla Germania). Anche per l’ecoinnovazione siamo agli ultimi posti: nel 2021 dal punto di vista degli investimenti in questo settore l’Italia appare al 13° posto nell’Unione europea con un indice di 79 (la Germania quasi ci doppia con un indice di 154. Infine la riparazione dei beni: in Italia nel 2019 oltre 23mila aziende lavoravano alla riparazione di beni elettronici e di altri beni personali (vestiario, calzature, orologi, gioielli, mobilia, ecc.). Siamo dietro alla Francia (oltre 33.700 imprese) e alla Spagna (poco più di 28.300). In questo settore abbiamo perso quasi 5.000 aziende (circa il 20%) rispetto al 2010.

Facendo le somme risulta che l’Italia e la Francia sono i Paesi che fanno registrare le migliori performance di circolarità, totalizzando 19 punti ciascuno.  Tutto bene, dunque? Non proprio.

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di  Redazione

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