“La digitalizzazione è una leva strategica del Green Deal europeo quindi ci aspettiamo molto da essa sia da un punto di vista di crescita economica che di benefici ambientali e sociali”. È quanto dichiarato dal Direttore Generale di Erion, Danilo Bonato, nel corso del suo intervento a “Gli impatti ambientali delle nuove tecnologie”, prima sessione del panel “La sfida della sostenibilità digitale” organizzato da Maker Faire Rome, in collaborazione con Unicredit.
I numeri di Ipsos
L’intervento di Bonato è stato anticipato, fra gli altri, da quello dal Direttore Scientifico di Ipsos, Enzo Risso che ha offerto, dati alla mano, un quadro statistico aggiornato sul grado di consapevolezza ambientale all’interno del nostro Paese. Il macro dato più rilevante è quello secondo cui il 90% degli italiani è convinto che senza un rapido cambiamento degli stili di vita ci si avvierà presto verso un disastro ambientale. Solo il 34% degli italiani crede che le nuove tecnologie abbiano un alto impatto sull’ambiente, e ancora più bassa (27%) è la percentuale di chi crede che i servizi digitali abbiano un forte impatto sulla domanda di energia. Infine, appena il 16% dei nostri concittadini è a conoscenza della reale portata del consumo medio di energia legato alle attività di streaming digitale, pari a quello di due frigoriferi.
Misurare gli impatti della digitalizzazione
Nel suo intervento, Danilo Bonato ha sostenuto che “La digitalizzazione è un fattore abilitante fondamentale per tutta una serie di applicazioni, pensiamo alla transizione energetica, all’economia circolare, ma anche alle green city o ai processi di tutela ambientale basati su sistemi di sensoristica e di intelligenza artificiale”. Il DG di Erion ha inoltre evidenziato un punto di attenzione: “Immaginate una gigantesca rete tecnologica globale con quattro miliardi di consumatori collegati sul web, con centinaia di migliaia di aziende interconnesse, con migliaia di data center, che cresce a doppia cifra di anno in anno. Questo sistema molto complesso con modelli di business estremamente innovativi deve essere sostenibile nel tempo. Per essere sostenibile – ha aggiunto Bonato – dobbiamo verificare che i benefici che questa infrastruttura globale introduce superino abbondantemente gli impatti negativi e, dunque, imparare a misurare e gestire questi ultimi”.
Il consumo energetico
È duplice, per Bonato, la natura degli impatti che la digitalizzazione porta con sé. “Il primo – ha spiegato il dirigente – è quello del consumo energetico. Secondo recenti studi, il mondo digitale, con lo streaming video, il cloud computing, l’intelligenza artificiale, i pagamenti elettronici, è arrivato a rappresentare tra il 3% e il 4% delle emissioni di CO2 globali, superando quelle prodotte da un’industria importante come quella aeronautica. Abbiamo quindi un settore cresciuto del 70% dal 2013 che da un punto di vista di impatto sui cambiamenti climatici comincia ad assumere una certa rilevanza. Solo per fare un esempio: Google dichiara un consumo energetico di 6 Terawattora annui”.
Il consumo delle risorse
Bonato ha poi spiegato il secondo genere di impatti legati all’avanzare della digitalizzazione, ovvero quello del consumo delle risorse naturali. “Fabbricare i dispositivi, le apparecchiature e le infrastrutture che servono per la trasformazione digitale della nostra economia e della nostra società, richiede tantissima materia prima, una quantità inconcepibile, estratta in miniere che sono molto spesso localizzate in Paesi dove i diritti dei lavoratori delle miniere non sono una priorità. Persiste dunque anche un tema etico legato all’estrazione di questi materiali”. Solamente in un server che si trova all’interno di un data center – ha chiarito il DG di Erion – ci sono almeno tredici delle trenta critical raw materials designate dall’Unione Europea tra cui il neodimio, il disprosio e l’antimonio.
L’approccio strategico per il consumo energia
Cosa si può fare per “misurare e gestire” gli impatti della digitalizzazione? “Sul fronte energetico – ha detto Bonato – la strada da seguire parte dall’utilizzo di energia da fonti rinnovabili, ma anche da interventi di efficienza sui data center. Un esempio può essere quello di posizionarli in luoghi del Pianeta, come le zone artiche, dove la temperatura è molto bassa in modo da attenuare il fabbisogno energetico per la ventilazione e il raffreddamento di queste infrastrutture. Sarebbe un’operazione non banale se si pensa che il data center che Google ha aperto in Lussemburgo ha bisogno di 10 milioni di litri d’acqua al giorno per essere raffreddato: è una cifra pari al 10% del consumo giornaliero dell’intero Paese”.
L’economia circolare per le risorse
Riguardo al grande problema del consumo non sostenibile delle risorse naturali, Bonato ha ricordato che si tratta di un tema sul quale Erion è impegnato con oltre 2.400 aziende del settore dell’hi-tech, dell’elettronica e dell’elettrodomestico. “La risposta a questa problematica – ha detto il DG – è ovvia e si riassume in due parole: economia circolare. Bisogna progettare i prodotti perché siano riparabili e abbiano una durata più lunga, fare strategie di riutilizzo dei prodotti, di riciclo sistematico e integrale per recuperare tutta la materia che possiamo ricavare. Questa pratica si chiama anche “urban mining”, cioè miniera urbana, e ci consentirebbe di disporre almeno in parte di materie prime da riutilizzare nei cicli produttivi. Le strategie ci sono e in parte sono già messe in atto, quello su cui vorrei invitare a riflettere è che il punto di partenza dev’essere quello di saper guardare anche agli impatti negativi sull’ambiente, saperli misurare e assicurarsi che le strategie di gestione di questi impatti siano adeguate e rientrino in una visione di pianificazione degli investimenti. Quindi – ha concluso Bonato – ben venga utilizzare al massimo la leva della digitalizzazione per sviluppare al massimo le imprese e l’economia, ma occorre anche dare un occhio alla misurazione, alla gestione e alla sensibilizzazione”.
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