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Design for Disassembly, così si progetta un prodotto destinato a durare

In un sistema circolare un oggetto deve poter essere facilmente riparato, aggiornato e riciclato. Il Design for Disassembly si assicura che tutto questo sia possibile. Federico Maria Elli, Industrial Designer, ci spiega come nel corso del workshop progettuale “Ecodesign the future”

Se l’Unione Europea spinge, con la direttiva Right to Repair e con il regolamento Ecodesign, verso il diritto alla riparazione e l’ecoprogettazione, c’è da sperare che gli oggetti che acquisteremo nel prossimo futuro saranno sempre più votati alla durabilità. Ma c’è un elemento che accomuna una progettazione ecocompatibile e la possibilità di riparare i prodotti: la loro capacità di essere smontati facilmente.

È qui che entra in gioco il Design for Disassembly (DfD), una strategia di progettazione che può essere applicata per estendere la vita di un prodotto, e combatterne l’obsolescenza. In quest’ottica di progettazione, non sempre semplice da attuare come vedremo più avanti, sono chiamati in causa concetti importanti come quello dell’accessibilità, della riparabilità, della sostituzione, dell’aggiornamento o modifica e, solo infine, della separazione e del recupero, inteso come riuso o riciclo.

A spiegarne i dettami è stato Federico Maria Elli, Industrial Designer, fondatore di _blank design studio e docente del corso di Laurea Magistrale in Design & Engineering del Politecnico di Milano, nel corso di una lezione di Ecodesign the Future: EEE edition, il percorso formativo organizzato da EconomiaCircolare.com, in collaborazione con Erion WEEE e il CDCA – centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali, che mira a realizzare proposte di progetto e prototipi sul tema delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE).

Cos’è il Design for Disassembly (DfD)

Il Design for Disassembly (DfD) è dunque un insieme di principi di progettazione che aiutano a ideare prodotti che possano essere facilmente riparati, aggiornati o disassemblati per riciclarne i materiali. Un corretto disassemblaggio  –  che poi altro non è che un corretto assemblaggio, spiega Elli – è uno step fondamentale, senza il quale difficilmente si riescono ad ottenere buone performance del prodotto in ottica di economia circolare. Basti pensare a quei packaging che contengono due materiali non separabili e che, per questo, spesso non possono essere riciclati.

Se il concetto ci appare semplice, le applicazioni connesse sono spesso inaspettate. Questi principi di progettazione possono essere applicati in molteplici ambiti: dai dispositivi meccanici, elettronici o analogici al tessile, fino ad architetture e persino a edifici e servizi.

Leggi anche: Direttiva Right to repair e regolamento Ecodesign: la doppia via europea per il diritto alla riparazione

I vantaggi di una progettazione Dfd

Pensare a come un oggetto verrà usato durante tutto il suo ciclo di vita permette di avere un minor impatto ambientale nelle fasi di  produzione, – ad esempio generando meno scarti e risparmiando risorse – stoccaggio, trasporto fino ad arrivare all’utilizzo e allo smaltimento. Oltre ai benefici ambientali per tutti gli attori della filiera e per il consumatore, il vantaggio è anche economico. Progettare un oggetto in questo modo riduce infatti i tempi di assemblaggio e disassemblaggio ed aumenta l’efficienza produttiva.

Da parte del cliente si può creare poi un rapporto di fidelizzazione: mantenere, riparare e aggiornare un prodotto facilmente, invece che sostituirlo, implica averlo con sé per un tempo più lungo, durante il quale inevitabilmente si crea una relazione non solo con l’oggetto ma anche con il brand. Pensiamo ad esempio ad uno dei dispositivi elettronici con cui stiamo leggendo questo articolo: la possibilità di avere aggiornamenti hardware e di avere supporto per la riparazione del prodotto ci rende sicuramente la vita più semplice e può rivelarsi anche un’ottima strategia di marketing.

Come progettare secondo il Design for Disassembly

Per evitare però che la scelta di progettare un oggetto con questo approccio sia fine a sé stessa, è necessario individuare l’utente, le modalità d’uso e di smaltimento del prodotto e prevedere come si potrà intervenire per supportare aggiornamenti e riparazioni durante tutto il ciclo di vita.

Viene da sé che la scelta di materiali dannosi per l’ambiente, difficili da riciclare e “misti”, come laminati, sia da evitare quanto più possibile. Inoltre non è sufficiente che un prodotto sia disassemblabile, ma l’ideale sarebbe avere pochi componenti. Meno componenti significano infatti riduzione dei tempi per l’assemblaggio ed il disassemblaggio, riduzione del peso, dimensioni e di conseguenza della quantità di materiali impiegati.

Per intervenire sul prodotto durante il suo ciclo di vita o fine vita, un’altra prerogativa per Dfd è includere nella progettazione una separazione delle componenti elettroniche da quelle meccaniche.

Sono naturalmente da attenzionare i “sistemi di connessione”, privilegiando quelli reversibili e in particolare quelli a mezzo snap-fit, in pratica dei sistemi ad incastro che garantiscono resistenza, ed evitando invece di ricorrere a soluzioni come la saldatura.

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di Silvia Santucci

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