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Cinzia Rossi (Antonianum): “Dietro alla crisi ambientale c’è una crisi antropologica”

Secondo la docente della Pontificia Università Antonianum, “una cittadinanza attiva che lasci esprimere le responsabilità e l’impegno autentico delle persone è la vera chiave dello sviluppo sostenibile contemporaneo”

Nella gestione di una crisi conta molto l’idea che ha di sé stesso chi la deve affrontare, in che relazione si pone col mondo e con gli altri soggetti che lo abitano. E conta la partecipazione, una delle chiavi di volta per raggiungere gli obiettivi che una collettività si dà. Questo vale soprattutto per la crisi delle crisi, quella ambientale e climatica. Ne abbiamo parlato con Cinzia Rossi, docente di Antropologia Organizzativa alla facoltà di filosofia della Pontificia Università Antonianum.

 

Professoressa Rossi, da qualche secolo la specie umana ha iniziato a pensarsi al di fuori (e al di sopra) della natura e delle altre specie. Le cose stanno cambiando, secondo lei?

Il processo di antropizzazione – ovvero di trasformazione ed alterazione del territorio da parte dell’uomo adattandolo ai propri interessi – ha fatto pensare alla specie umana di poter fare a meno della natura, che invece è la sua fonte insostituibile di vita e di vitalità, di bioritmo, di ispirazione, di spiritualità e di energia, di nascita e rinascita, di bellezza. Quindi riconnettersi e tornare a rispettare la natura è possibile, ma siamo ancora molto lontani. Siamo un po’ come un fiore reciso senza radici o come un pesce fuori dall’acqua: ecco, dobbiamo ritornare nel nostro habitat. La nostra è una fase di dinamica riparativa: ci siamo allontanati molto dal modello naturale, dal rapporto diretto-ispirativo con la natura. Dobbiamo ritornare, riconnetterci a questi valori.

Lei insegna antropologia organizzativa. Se l’innovazione ha avuto un ruolo centrale nell’odierna multicrisi ambientale, forse anche l’organizzazione ha avuto un ruolo: penso alle catena di montaggio col fordismo, o alle catene globali di approvvigionamento nella globalizzazione. Che ne pensa?

Direi di partire dal concetto di multicrisi. La multicrisi ambientale è dovuta allo smarrimento antropologico dell’uomo, al fatto che la nostra specie ha perso di vista sé stessa, le sue domande prime, ha perso di vista il suo processo storico e culturale, il bene comune che è alla base della sua stessa sopravvivenza. È la crisi antropologica ad avere un ruolo centrale nella multicrisi ambientale.

L’organizzazione è il modo in cui la specie umana si attrezza per sopravvivere alle crisi: ovvero che tipo di convivenza sceglie per salvarsi ed evolvere. La specie umana infatti si deve organizzare per poter sopravvivere alla preponderante forza della natura.  Ha bisogno di vivere in comunità, perché il singolo non si salva da solo, non evolve, non crea sviluppo. Organizzarsi è dunque la condizione per sopravvivere, organizzarsi però rispettando la relazione con la natura e la relazione con l’altro da noi, l’altro della nostra specie e delle altre specie. Organizzarsi è la condizione per sopravvivere generando benessere diffuso.

Quanto all’innovazione, non è centrale nell’attuale crisi, è solo una variabile interveniente. Scientificamente è definibile come variabile di disturbo, una variabile intermediaria. Sicuramente ci pone di fronte alla visione di un mondo tecnocratico, ci allontana dall’idea di farci quelle che possiamo chiamare le domande prime. L’innovazione vista come risultato tecnocratico riduce ogni realtà ad oggetto e quindi non ci fa investire in un rapporto plurale, multiforme con la vita nella sua concretezza. Rischiamo di perdere la nostra stessa libertà, riducendola ad un fattore collegato alla sola tecnica: quando l’innovazione punta solo su questo aspetto diventiamo tutti virtuali e spostiamo il focus principale: che è appunto un problema di senso, una crisi antropologica.

 

di Daniele Di Stefano

 

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