Ci saranno circa 300 milioni di veicoli elettrici nelle strade di tutto il mondo entro il 2030 secondo le stime dell’Agenzia Internazionale per l’Energia (AIE) e per lo spropositato numero di batterie agli ioni di litio che verranno prodotte il riciclo non sarà sufficiente a garantire un’economia circolare nel settore. Prima di arrivare al recupero di materiali contenuti all’interno come il litio, il cobalto e altri metalli attraverso il riciclo, le case automobilistiche e i produttori di batterie stanno quindi pensando a soluzioni alternative per allungare il ciclo di vita delle batterie e allontanare nel tempo il momento in cui non potranno più essere utilizzate.
Dopo la fine della “prima vita”, gli accumulatori conservano, infatti, una capacità di carica residua superiore all’80%, inadeguata per alimentare un veicolo elettrico, ma ideale per tutta una serie di altri impieghi, dando una seconda vita alle batterie. Un’opzione è la riconversione (repurposing), in cui diversi gruppi adeguati di batterie sono selezionati e combinati in base allo stato residuo e alla capacità. La rimessa a nuovo dei gruppi è una seconda opzione praticabile. Essenzialmente i gruppi vengono smontati e le singole celle vengono ricondizionate e re-imballate in nuovi moduli.
Le batterie possono essere così usate per altri dieci anni, fino a quando raggiungeranno una capacità residua del 60%. Ad esempio, in applicazioni stazionarie che vanno dalla stabilizzazione della rete elettrica a tecnologie innovative per lo stoccaggio dell’energia in chiave ecosostenibile e di efficienza energetica.
Il riciclo in sé non è un processo senza impatti ambientali. I processi pirometallurgici per estrarre le materie prime sono, infatti, ad alta intensità energetica e sono associati a emissioni tossiche e di gas serra, mentre quelli idrometallurgici richiedono enormi quantità d’acqua: per estrarre una sola tonnellata di litio, per esempio, servono circa 1900 tonnellate d’acqua. L’utilizzo di sostanze chimiche durante la lavorazione può inoltre generare sottoprodotti contaminati da inviare in discarica.
Questo non significa che il riciclo non vada bene: gli studi sul ciclo di vita delle batterie dimostrano che il trattamento a fine vita rappresenta solo una piccola parte degli impatti totali della produzione delle batterie, inferiore al 5%, e può limitare in maniera sostanziale gli impatti rispetto alla produzione primaria perché riduce il fabbisogno di materie prime e l’inquinamento derivante dalle emissioni legate ai processi di produzione. Inoltre, anche con le batterie in seconda vita le materie prime potranno essere recuperate solo dopo altri dieci anni di utilizzo.
Insomma, puntare sul repurposing non è solo un modo più efficiente di gestire le risorse, ma contribuisce a ridurre l’impronta di carbonio della batteria, distribuendola tra la prima vita in ambito automotive e la seconda in ottica stazionaria, peraltro in un intervallo di tempo raddoppiato. In poche parole, rende le batterie più sostenibili. Il riutilizzo e la riconversione, secondo recenti studi accademici, riducono le emissioni rispettivamente di 0,27 kgCO2eq/kWh e di 0,22 kgCO2eq/kWh, contribuendo ad abbassare del 16% l’impatto delle batterie sul cambiamento climatico e del 25% sull’acidificazione degli oceani.
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A rendere necessario un mercato delle batterie in seconda vita sarà la stessa transizione energetica e l’aumento del ricorso a fonti di energia rinnovabili che rende inevitabile trovare soluzioni per la stabilizzazione della rete elettrica. Le linee di distribuzione dell’elettricità trasportano l’energia elettrica nei punti di domanda e consumo, come industrie, uffici, case, centri commerciali. Non è, però, un processo costante, perché ci sono picchi e momenti in cui il bisogno è ridotto e quindi l’energia prodotta viene immagazzinata per utilizzarla successivamente. Il metodo più immediato ed efficace è farlo con le batterie.
Di fronte alla crescita nei prossimi decenni di parchi eolici e solari, il problema però si presenta ingigantito rispetto a una centrale elettrica tradizionale. Il sole non splende 24 ore su 24 e il vento non soffia in maniera costante: questo significa che gli impianti eolici e solari producono energia in forma discontinua e nei momenti di massimo funzionamento potrebbero produrla in quantità superiore alla capacità di assorbimento della rete: in pratica c’è più elettricità di quella che serve e quindi va immagazzinata. Ecco allora l’utilità delle batterie in seconda vita.
Mettendo insieme gruppi di batterie ricondizionate è possibile stoccare rapidamente energia per rispondere agli sbalzi di potenza e diminuire o evitare del tutto gli eventi di riduzione di carico e blackout. È quello che già avviene, ad esempio nell’impianto idroelettrico di pompaggio di Herdecke, in Germania, dove da poco Audi ha completato in collaborazione con la società di gestione dell’energia la costruzione di un mastodontico sistema di stoccaggio con 60 moduli batteria, molti dei quali ricondizionati, del peso di circa 700 chili ciascuno; oppure a Melilla, enclave spagnola in Marocco, dove Enel, in collaborazione con Nissan, ha realizzato un progetto simile, in una centrale elettrica a gas.
Lo stesso concetto può essere applicato anche in altri ambiti. In Italia Enel X è al lavoro per un sistema di stoccaggio da impiegare nell’aeroporto romano di Fiumicino per assorbire l’eccesso di energia prodotta dall’impianto solare in fase di costruzione e coprire gli eventuali picchi serali di domanda di energia dell’aeroporto. In tanti avranno sentito parlare dello stadio di calcio di Amsterdam, alimentato con 150 batterie al litio, molte delle quali in seconda vita.
Un’altra interessante soluzione è utilizzare le batterie riconvertite per garantire continuità nell’erogazione della corrente anche in caso di blackout, con il vantaggio di non aver bisogno di fonti esterne di alimentazione per funzionare come gas o carburanti liquidi con i quali lavorano i tradizionali generatori. Le batterie in seconda vita possono essere vendute anche per impieghi molto più semplici: per fornire illuminazione agli uffici, nei magazzini di cibi freschi o per uso domestico, per esempio per stoccare l’energia elettrica dei pannelli solari sul tetto di una casa.
Più aumentano le batterie a disposizione, più progetti simili proliferano. Le case automobilistiche come Volkswagen e Stellantis hanno cominciato a realizzare o progettare punti di ricarica rapida per automobili elettriche da alimentare con pannelli solari e con sistemi di accumulo con gruppi di batterie in seconda vita provenienti dai veicoli elettrici. Jaguar sta sviluppando batterie di avviamento portatile utilizzando batterie in seconda vita.
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di Tiziano Rugi
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