Per passare da un’economia lineare a una circolare, non basta proporre un prodotto green, ma deve esserci un ripensamento di tutto il sistema, questo sembra ovvio. Meno ovvio è come può avvenire questa riprogettazione. Per attuarla è, infatti, necessario conoscere e saper applicare modelli di business che siano sostenibili a livello ambientale, ma anche economico.
A porre le basi teoriche di quello che sarà il lavoro progettuale dei partecipanti al workshop Ecodesign the future: packaging edition è stato Gianmarco Bressanelli, ricercatore del Laboratorio RISE (Research & Innovation for Smart Enterprises) del DIMI (Department of Mechanical and Industrial Engineering), dell’Università degli Studi di Brescia. Nel corso della prima lezione del workshop, Bressanelli ha illustrato nozioni ed esempi indispensabili ai partecipanti per avvicinarsi con consapevolezza alla seconda fase dell’iniziativa: quando cioè le studentesse e gli studenti lavoreranno a dieci nuovi concept eco-progettuali basati su riciclo e sul riuso.
Nello specifico, la prima parte della lezione si è concentrata sul ruolo del service design all’interno dell’economia circolare: uno spunto interessante che può aiutare anche chi non è un addetto ai lavori a comprendere meglio quali siano i passi da compiere per ridisegnare un business, e di conseguenza, il nostro sistema economico.
Il service design è la progettazione relativa non solo al prodotto in sé ma a tutto quello che è legato all’offerta di un prodotto circolare, ovvero il servizio, il modello di business, l’ecosistema e gli attori coinvolti.
Come spiega Bressanelli, “l’economia circolare richiede un approccio sistemico che non deve limitarsi alla mera riprogettazione del prodotto in termini di design, innovazione tecnica e materiali perché altrimenti il prodotto rischia di non essere competitivo sul mercato e di avere un costo eccessivo. Deve esserci dietro una domanda, un modello di business e una riconfigurazione del supply chain, cioè una serie di attori disposti a fornire materiali, prodotti usati la rigenerazione, a collaborare o a dare risorse finanziarie”.
Quello del costo dei prodotti eco-sostenibili è una questione spinosa: certo, l’acquisto compulsivo di merce spesso prodotta senza seguire alcuna etica lavorativa e ambientale, come avviene nella fast-fashion, ha portato gran parte dei consumatori a non essere a conoscenza del vero valore di un prodotto. Tuttavia, alcuni prodotti che rappresentano un’alternativa meno dannosa per l’ambiente rispetto a quelli che troviamo comunemente in commercio sono spesso inaccessibili a molti.
È proprio per questo che è importante strutturare una buona idea in modo che possa diventare un progetto di successo, e a guadagnarci non sarà solo l’ambiente ma tutto il sistema produttivo e di distribuzione, con notevoli vantaggi anche per le tasche dei consumatori.
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Le innovazioni dell’economia circolare possono interessare tantissimi aspetti: la gestione del fine vita di un prodotto, una nuova concezione del suo design per predisporlo facilmente a sostituzioni o riparazioni, una riconfigurazione del processo produttivo ma anche un nuovo uso dello stesso, attraverso il leasing o un abbonamento.
A questo proposito Bressanelli ha fornito ai partecipanti alcuni spunti interessanti, tra questi prendiamo in considerazione un paio di esempi.
Il primo riguarda il settore dell’industria automobilistica ed è un progetto pilota che risale al 1989, quando la casa automobilistica Renault ha avviato, nello stabilimento francese di Choisy-le-Roi, un progetto di recupero di automobili giunte a fine vita, attraverso il disassemblaggio delle stesse, con l’obiettivo di recuperare e riutilizzare le componenti per fare rigenerazione. Nel 1989 si occupava di recuperare le componenti standard di motori a diesel come le pompe d’iniezione, ha poi esteso il recupero a trasmissione e compressori. Successivamente, nel 2017, ha rinnovato l’impianto estendendolo anche alla rigenerazione delle batterie elettriche.
Si riscontrano così benefici, come anticipavamo, sia da un punto di vista ambientale ma anche e soprattutto economico: si riesce infatti a riparare i veicoli esistenti con un consistente risparmio sui costi di acquisto per i consumatori e un incremento dei posti di lavoro. Riparare un’automobile genera infatti più posti di lavoro rispetto alla produzione che segue una catena produttiva tradizionale e che usufruisce maggiormente di sistemi robotizzati.
Un altro esempio virtuoso è Aquafil, un’azienda italiana che produce filato di nylon che più di dieci anni fa ha ideato una tecnica di depolimerizzazione chimica del nylon. Dopo essersi resi conto dell’enorme produzione di rifiuti derivante dalle moquette che a fine vita venivano buttate in discarica, l’azienda ha investito nella ricerca ed è arrivata a sviluppare una tecnica che permette di produrre nuovo filato rigenerato, proveniente da vecchie moquette e altri prodotti di nylon per poi rivenderlo sia all’industria della pavimentazione tessile che a quella dell’abbigliamento tecnico-sportivo.
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di Silvia Santucci
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