Emilio Cozzi, giornalista e autore, è uno dei volti scientifici di “Materia Viva”, il docufilm promosso da Erion WEEE in collaborazione con Libero Produzioni, per sensibilizzare i cittadini italiani sui temi della sostenibilità, dell’economia circolare e dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (RAEE). Ex direttore del magazine Zero e contributor di Wired Italia, Il Corriere della sera e Il Sole 24 Ore, dal 2019 dirige la sezione space economy di Forbes Italia e di Cosmo, rivista specializzata in astronomia e astronautica.
Un focus di “Materia Viva” è la tutela del Pianeta. Per lavoro, sei spesso portato a osservare le dinamiche della Terra da un punto che va ben oltre l’atmosfera. Esiste una tecnologia impiegata nello spazio che ci può davvero aiutare a essere sostenibili?
Tante tecnologie dedicate allo spazio e, in particolare, all’osservazione della Terra, hanno fra i loro obiettivi quello di rendere maggiormente sostenibile la nostra vita. I satelliti, per esempio, sono strumenti fondamentali nel monitoraggio dei cambiamenti climatici e nella prevenzione di eventi meteorologici catastrofici. Il loro impiego ci permette di intervenire con grande rapidità per rendere meno impattanti eventi così gravi, sia dal punto di vista sociale che da quello economico.
Non molti sanno che esistono anche dei RAEE dello spazio. Si chiamano “Space debris”. Cosa sono e come si può prevenirli?
I detriti spaziali sono oggetti inattivi dispersi oltre l’atmosfera terrestre. Mi riferisco a parti di lanciatori o a satelliti che non funzionano più, ma che rimangono in orbita intorno al nostro Pianeta a delle velocità che li rendono pericolosi: letteralmente dei proiettili. Ciò vale anche per parti molto piccole: se un detrito di pochi centimetri, dovesse impattare su un satellite alla velocità di 27.000 chilometri orari, potrebbe causare danni ingenti. Le traiettorie di questa “spazzatura spaziale” minacciano perfino la Stazione Spaziale Internazionale che, come è noto, è abitata dagli astronauti.
È un problema serio.
Lo è, e lo sta diventando sempre di più, perché il numero dei lanci effettuati dalla Terra sta aumentando a dismisura. Si tenga presente che nei sessant’anni successivi al 4 ottobre del 1957, data di lancio del primo satellite, lo Sputnik, abbiamo mandato in orbita ottomila oggetti. Solamente nel 2021, che è stato peraltro un anno di pandemia, ne abbiamo spediti oltre l’atmosfera ben 1.800. Questo è un tema su cui bisogna porre molta attenzione e che potrebbe generare la sindrome di Kessler.
In che cosa consiste?
Nel 1978, Donal Kessler, un fisico che lavorava alla NASA, aveva ipotizzato che gli elementi lanciati dall’uomo e lasciati orbitare nello spazio, sarebbero stati così tanti da costituire una sorta di guscio attorno alla Terra, rendendo impossibile qualsiasi altra missione di esplorazione. È uno scenario ancora fantascientifico, ma sempre più verosimile. Per attenuare il problema è stata introdotta una stringente regolamentazione internazionale che, tra le altre cose, impone che i nuovi satelliti vengano costruiti in modo tale da essere rimovibili una volta che avranno finito il loro compito. Il problema è che queste leggi devono essere applicate concretamente e, poi, fatte rispettare da un ente sanzionatorio che, ad oggi, ancora non c’è. Di sicuro si tratta di una questione urgente che dev’essere affrontata il prima possibile per evitare che all’inquinamento del nostro Pianeta, si aggiunga anche quello dell’extra-atmosfera.
Da quanto tempo conosci l’acronimo RAEE e quali comportamenti attui nel tuo quotidiano per far sì che dal loro riciclo sia reso possibile il ritorno della materia viva?
Ho affrontato il tema dei Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche lo scorso anno per lavoro, ma l’acronimo RAEE mi è familiare da quando ho partecipato a “Materia Viva”. Nel mio piccolo, più che agire per favorire il riciclo, cerco di prolungare l’utilizzo dei miei dispositivi e di evitare acquisti dettati dalle mode del momento. La mia è una propensione al risparmio sull’utilizzo delle cose che già ho. Credo che per attuare un comportamento corretto con la nostra tecnologia, sia necessario avere una maggiore consapevolezza di quello che utilizziamo e ribellarci a strategie di mercato come quella dell’obsolescenza programmata dei prodotti.
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