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Il CEN presenta il 4° Rapporto sull’Economia Circolare in Italia

Il focus dell’edizione 2022 è quello sul sostegno della ripresa e sulla diminuzione del consumo delle risorse. Il Presidente Edo Ronchi: “Dal 2015 al 2021 il consumo mondiale dei materiali è cresciuto di circa il 13%, più della crescita della popolazione che è stata dell’8%”

“Nel mondo l’economia circolare non progredisce, rallenta: il consumo di materie prime aumenta spaventosamente”. Questa la premessa che il 5 aprile 2022 ha aperto i lavori della 4° Conferenza Nazionale sull’Economia Circolare organizzata a Roma dal Circular Economy Network.

L’evento, moderato dal giornalista dell’Huffington Post, Antonio Cianciullo, è stato occasione di confronto sul ruolo dell’economia circolare per una ripresa italiana capace di far leva sull’uso efficiente delle risorse e sulla simbiosi industriale in una situazione contrassegnata dal forte aumento dei prezzi delle materie prime.

La dipendenza dell’Italia dall’import
I lavori della giornata sono stati aperti con la consueta presentazione da parte di Edo Ronchi, Presidente del CEN, dell’edizione 2022 del Rapporto sull’Economia Circolare in Italia. “Dal 2015 al 2021 il consumo mondiale dei materiali è cresciuto di circa il 13%, più della crescita della popolazione che è stata dell’8% e poco meno della crescita annua del PIL mondiale del 2,2% a fronte di una crescita annua del consumo di materiali dell’1,9%. Entro il 2050 consumeremo tra le 170 e le 184 Gt di materiali ogni anno”, ha detto Ronchi in apertura del suo intervento. “Bisogna aumentare la circolarità dell’economia per dissociare la prosperità dal consumo di risorse naturali. Per l’Italia, che è un Paese manifatturiero, questo elevato consumo di materiali lo vediamo nell’incremento delle importazioni degli stessi. La nostra maggiore vulnerabilità è sui metalli il cui import nel 2021 è aumentato del +76% rispetto al 2020 superando anche i livelli pre-pandemia. Nel 2021, si è assistito anche a un incremento dei combustibili fossili (+8% rispetto al 2020) che rappresentano il 72,6% dei materiali importati, e a una conferma delle biomasse acquistate dall’estero la cui quota si è mantenuta sulle 28 Mt. C’è un perfetto equilibro tra l’andamento del Pil e l’andamento delle importazioni di materiali e questo collegamento rende altamente vulnerabile il nostro Paese alle variazioni dell’economia. Dobbiamo dare più solidità alla ripresa economica accelerando la circolarità e questo è il tema del nostro nuovo Rapporto stilato seguendo i sette indicatori chiave dell’economia circolare individuati dalla Carta di Bellagio: il riciclo complessivo dei rifiuti; il tasso di utilizzo di materia proveniente dal riciclo; la produttività delle risorse; il rapporto fra la produzione dei rifiuti e il consumo di materiali; la quota di energia da fonti rinnovabili sul consumo totale lordo di energia; l’attività di riparazione; il consumo di suolo”.

“Siamo il Paese più circolare dell’Ue, ma dobbiamo accelerare”
Secondo i dati del Rapporto presentato da Ronchi, nella classifica complessiva dei trend di circolarità delle principali cinque economie dell’UE, l’Italia si conferma prima con 20 punti, seguita da Germania e Polonia con 16, e Spagna e Francia con 14. Nonostante la leadership italiana in Europa, Ronchi ha posto la necessità di accelerare la circolarità dell’economia nazionale con misure precise volte ad anticipare quanto più possibile il pacchetto di proposte presentate dalla Commissione Europea lo scorso 30 marzo. Si tratta di introdurre nuovi requisiti per rendere i prodotti più circolari, estendere l’attuale quadro dell’ecodesign ad una più ampia gamma di prodotti; introdurre nuove regole per responsabilizzare i consumatori con una migliore informazione; definire una strategia per garantire prodotti tessili più durevoli e riciclabili; revisionare, infine, le norme sui prodotti da costruzione per renderli più sostenibili. Ronchi ha chiuso il suo intervento ricordando i tanti vantaggi dello sviluppo di economia circolare, tra cui quelli sull’occupazione: “È stato calcolato – ha detto il Presidente del CEN – che mettere in discarica o incenerire 10.000 tonnellate di rifiuti genera 2 posti di lavoro. Se la stessa quantità fosse riciclata si genererebbero 115 posti di lavoro, che salirebbero a 404 se si avviassero attività di riparazione”.

Promuovere la simbiosi industriale
“La leva della simbiosi industriale nei sistemi produttivi” è stato il titolo del focus di Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento sostenibilità sistemi produttivi e territoriali ENEA che nel corso del suo intervento ha sottolineato come: “La transizione verso l’economia circolare è una necessità per molti Paesi, ma per L’Italia, che è dipendente dalle importazioni delle materie prime, è un tema fondamentale. Dobbiamo promuoverla a vari livelli sul territorio all’interno degli impianti produttivi, in aree industriali, urbane, turistiche, rurali, lungo la catena di valore dei prodotti e dei materiali. Serve eco-innovazione di prodotto, di processo e di sistema. La simbiosi industriale è lo scambio di tutte le risorse possibili tra cicli produttivi differenti con vantaggi ambientali in termini di riduzione di utilizzo di materie prime e di emissioni”. Per Morabito attuare una Simbiosi industriale significherebbe dar vita a un mercato potenziale che, solo nell’Ue, ha un valore stimato tra i 6,9 e i 12,9 miliardi di euro all’anno frutto dello scambio di risorse fra i vari attori economici. A tale cifra si aggiungerebbero risparmi sui costi di smaltimento in discarica dei rifiuti stimati in72,7 miliardi di euro all’anno. Tra i settori strategici, Morabito ha evidenziato quello dei RAEE che, in un quadro di simbiosi industriale, permetterebbe di riciclare 9,5 Mt di materie all’anno (tra cui CRM) con un mercato potenziale stimato tra i 2,1 e i 3,6 miliardi di euro annui.

“Politiche e misure: a che punto siamo?”
Il secondo panel della Conferenza è stato aperto dall’intervento del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando che ha ricordato come, in questo momento storico, “Il pericolo concreto è quello di vedere la transizione verde come uno strumento per i tempi di pace, io non credo sia così. Anzi, il conflitto in Ucraina e le conseguenze economiche correlate devono essere colte come uno stress test per mettere in evidenza le debolezze del sistema italiano, come la nostra dipendenza dal fossile e la necessità di compiere un’accelerazione verso la transizione. Da questo punto di vista abbiamo il Piano Nazionale Ripresa e Resilienza che non solo alloca delle risorse, ma prevede anche dei tempi certi. La metodologia del PNRR che prevede l’obbligo di rispettare delle scadenze – pena la perdita delle risorse – è la via più efficace da seguire. Abbiamo dalla nostra parte importanti fondi sul fronte della formazione: 5 miliardi di euro da investire nei prossimi tre anni e che rappresentano i presupposti per questo passaggio fondamentale”. Per Laura D’Aprile, Capo Dipartimento per la transizione ecologica e gli investimenti verdi del MiTE, “Gli investimenti previsti nel PNRR dedicati all’infrastrutturazione della raccolta differenziata e all’impiantistica per il riciclo sono andati molto bene. Uno dei dati che ci ha reso più contenti è quello territoriale: la Lombardia e la Campania hanno presentato lo stesso numero di istanze. Abbiamo stimolato in un modo eccezionale il Sud e le proposte che sono arrivate colmano del 60% la copertura del Centro-Sud Italia”. Giacomo Vigna, Dirigente Divisione Economia circolare, Direzione generale per la politica industriale, l’innovazione e medie imprese del Ministero dello Sviluppo Economico, ha sostenuto: “Per leggere le dinamiche nel loro complesso bisogna considerarle anche in chiave macroeconomica. Abbiamo un contesto internazionale e di politica estera estremamente mutevole: siamo passati da uno scenario in cui la globalizzazione era il mantra, fino a un punto in cui ci siamo resi conto che la globalizzazione ci ha indebolito. Questo momento di guerra rompe le catene di fornitura e mette in difficoltà le aziende. Se l’impatto sulle imprese è questo, c’è bisogno che le nostre aziende rientrino in Italia rendendosi meno vulnerabili a dinamiche esterne”.

“Uno sguardo sull’Europa”
Paola Migliorini, Vice Capo Unità Economia circolare, Produzione e consumo sostenibili, DG Ambiente, Commissione Europea, ha evidenziato i temi più salienti del Pacchetto di misure sull’economia circolare presentato il 30 marzo scorso dalla Commissione Europea. “C’è l’esigenza di aumentare l’efficacia delle risorse, ridurre l’impatto ambientale e permettere alle filiere globali di attutire gli impatti dovuti alla pandemia e alla guerra”, ha sostenuto Migliorini. “Il nuovo pacchetto di norme prevede una serie di requisiti orizzontali che si possono applicare a tutti i prodotti: ci sono quelli che riguardano le informazioni che dovranno accompagnare ogni prodotto come l’etichettatura ambientale e il passaporto digitale; altri requisiti introdotti per migliorare il funzionamento del mercato circolare e incentivi all’introduzione di beni più sostenibili”. Claudia Alessio, Research Analyst, Circle Economy (Olanda) ha presentato il Circularity Gap Report 2022, secondo il quale solamente il 9% dei materiali utilizzati a livello globale viene reimpiegato nei cicli produttivi. “Per raddoppiare il livello di circolarità globale serve un impegno da parte delle imprese: tra la Cop21 di Parigi e la Cop26 di Glasgow l’economia globale ha utilizzato più di mezzo trilione di tonnellate di materie prime vergini, consumando il 70% in più di quanto la Terra possa ricostituire in sicurezza. Nel 2021 il mondo ha estratto 92 miliardi di tonnellate di materie, usandone solo 8,6 miliardi provenienti da fonti secondarie. Raddoppiando il livello di circolarità entro il 2032 potremmo diminuire le emissioni globali di gas serra del 39% e ridurre l’estrazione di materie prime del 28%, rimanendo al di sotto della temperatura limite dell’1,5 °C”.

Quanta Economia Circolare c’è nelle imprese italiane?
“Il sistema industriale italiano e la carenza di materie prime” è stato uno dei quattro interventi che hanno chiuso la giornata. Marco Ravazzolo dell’Area Politiche Industriali, Confindustria, ha sostenuto: “C’è un bene intangibile in Italia che è questa comunità del CEN e questo Sistema Paese dovrebbe impegnarsi per far conoscere il modello italiano in Europa. La legislazione europea dovrebbe emulare il nostro modello e noi dovremmo cominciare ad andare in Europa per raccontarci. Cominciamo anche a pretendere un approccio scientifico su queste idee”. Luca Dal Fabbro, Managing Partner, Fondo italiano per la decarbonizzazione ed economia circolare, ha ricordato il ruolo chiave della Finanza nella transizione circolare. “Stiamo vedendo quanto il covid, prima, e la guerra, poi, abbiano determinato una grossa crisi sugli approvvigionamenti energetici e sulle materie prime. Abbiamo notato negli ultimi due anni una rivoluzione: esistono 6mila Fondi che gestiscono 2,7 trilioni di dollari per investimenti sulla transizione ecologica. Il problema che solo il 3% di questi Fondi misura gli impatti sociali, economici e di governance degli investimenti”. Barbara Gatto, Responsabile Politiche ambientali, CNA ha parlato de ruolo delle piccole e medie imprese nella transizione sostenendo che “il PNRR ha avuto risultati buoni, ma sono ancora pochi gli investimenti sull’economia circolare. Si è puntato molto sullo sviluppo infrastrutturale, ma noi abbiamo un sistema con centinaia di migliaia di imprese che hanno bisogno di riconvertire la produzione. È sbagliato puntare su incentivi a pioggia, ma in qualche modo va adottata una leva economica e fiscale per favorire la transizione, e va sviluppata una rete di soggetti pronti ad accompagnare le imprese”. Per Marco Conte, Vice Segretario generale UNIONCAMERE Il tema dell’economia circolare non è solamente un tema ambientale, ma richiede una politica industriale ed energetica. Abbiamo dimostrato con questa giornata che l’economia circolare è business: sono sempre più le imprese che fanno scelte sostenibili e investono nel green; è chiaro però che tali investimenti riguardano quasi unicamente le grandi imprese e che non si possono lasciare indietro tutte le altre. L’Italia è fatta di un tessuto imprenditoriale costituito soprattutto da PMI che esportano e che non possono non essere aiutate”.

 

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