Il futuro del packaging punterà sul riutilizzo invece che sul riciclo? È questa la domanda che, da otto mesi, accompagna, in Italia e all’estero, il dibattito sulla proposta di Regolamento europeo sugli imballaggi e rifiuti di imballaggi, presentata dalla Commissione il 30 novembre del 2022. Il pacchetto di misure, attualmente in discussione al Parlamento, si propone di apportare una profonda revisione all’attuale normativa che regola il settore di uno dei prodotti di uso comune più diffusi. “In media, ogni europeo, produce quasi 180 kg di rifiuti di imballaggio all’anno” sostiene la Commissione, ricordando che, negli ultimi 10 anni, tale tipologia di rifiuti è aumentata di oltre il 20% e aggiungendo che, in mancanza di un’azione di limitazione dei consumi, entro il 2030 l’Ue potrebbe registrare un ulteriore incremento del 19%, che arriverebbe al 46% nel caso di quelli in plastica.
Uno scenario, questo, che la Commissione vorrebbe scongiurare con un Regolamento che, in linea con il piano d’azione per l’economia circolare del Green Deal europeo, punti al triplice obiettivo di prevenire i rifiuti di imballaggio, promuovere il riutilizzo e la ricarica e rendere tutto il packaging riciclabile entro il 2030. In questa direzione si muove il disegno di legge che, nei 65 articoli che lo compongono, regola, per la prima volta, tutto il ciclo di vita degli imballaggi, comprendendo aspetti fondamentali, tra cui: gli obiettivi di riduzione, riutilizzo e riciclaggio; l’etichettatura ambientale; i requisiti di ecodesign; i sistemi di restituzione e raccolta; il contenuto riciclato minimo nei prodotti di plastica; la restrizione sul livello di concentrazione di sostanze pericolose negli imballaggi; la tracciabilità dei materiali nell’intera catena di fornitura.
Il nodo al centro del dibattito è costituito dall’impostazione del Regolamento che, secondo alcuni, sarebbe sbilanciato a favorire la pratica del riutilizzo degli imballaggi, a discapito di quella del riciclaggio. “Un passo indietro” per l’Italia, secondo il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin che, lo scorso novembre, aveva ricordato la leadership italiana nella “classifica degli Stati membri dell’Unione europea per tasso di riciclo di tutti i rifiuti”.
Sul tema, ErioNews ha intervistato Roberto Magnaghi, Direttore Generale di Erion Packaging, il Consorzio dedicato alla gestione dei rifiuti di imballaggio correlati ai prodotti tecnologici.
La contrapposizione tra riutilizzo e riciclo dei Rifiuti di Imballaggi è un tema reale?
In Italia, la proposta di Regolamento ha provocato una levata di scudi generalizzata che ha coinvolto diversi importanti attori istituzionali e industriali, dal Ministero alle associazioni di categoria. I contenuti più contestati sono quelli che spingono molto sulla prevenzione e sul riutilizzo dei Rifiuti di Imballaggi, azioni al vertice della gerarchia europea dei rifiuti, ma fino ad oggi meno considerate rispetto al riciclaggio. Nell’ansia di recuperare questo gap e ristabilire l’ordine delle cose, la Commissione ha pensato a due misure mai entrate nella normativa: ovvero la definizione di obiettivi specifici per la riduzione dell’immesso al consumo e del riuso del packaging. È bene ricordare, però, che senza il riciclo non è possibile chiudere il cerchio e alimentare con Materie Prime Seconde nuovi cicli produttivi. In Erion questo tema è molto sentito in relazione ai RAEE, ma vale anche per gli imballaggi che sono composti da materiali fondamentali come legno, plastica e carta.
La bozza della Commissione propone che, dal primo gennaio 2030, il 90% dei grandi elettrodomestici dovrà essere messo in commercio con “imballaggi di trasporto riutilizzabili all’interno di un sistema per il riutilizzo”. È un obiettivo raggiungibile?
È un target davvero sfidante e, in qualche modo, difficilmente raggiungibile. Il riutilizzo dei grandi bianchi al 90% va a impattare su tutto il sistema di produzione e distribuzione di questi prodotti che non è solamente nazionale, ma europeo e mondiale. Si pensi a che cosa possa comportare riportare l’imballaggio di un grande elettrodomestico nel suo luogo di origine, in un impianto di produzione in Polonia, in Spagna, in Germania o nel Far East, per poi riutilizzarlo per il trasporto di un nuovo prodotto in un altro Paese. Ci sono delle ovvie difficoltà tecniche, logistiche, di standardizzazione, di produzione e di distribuzione. Attuare, entro il 2030, un sistema che garantisca il 90% di riutilizzo di packaging come pallet in legno, film plastico, polistirolo, cartone, è davvero complicato. Si parla di modificare, nell’arco di pochi anni, la struttura produttiva di un intero settore in funzione di un ipotetico vantaggio ambientale.
La Commissione sostiene che, entro il 2030, le misure proposte dovrebbero ridurre le emissioni di gas a effetto serra derivanti dagli imballaggi a 43 milioni di tonnellate rispetto alle 66 milioni di tonnellate di emissioni che verrebbero liberate se la legislazione non fosse modificata. Inoltre, il consumo di acqua diminuirebbe di 1,1 milioni di metri cubi e i costi dei danni ambientali per l’economia e la società si ridurrebbero di 6,4 miliardi di euro rispetto allo scenario di base per il 2030.
Sappiamo che sono state messe in atto valutazioni LCA sui vantaggi ambientali dei sistemi di riutilizzo e riciclo, tuttavia qualche dubbio rimane. Mi chiedo come si possa considerare ambientalmente sostenibile far girare mezzi per tutto il mondo al solo fine di riportare gli imballaggi nei luoghi di produzione e poi rispedirli nuovamente a un nuovo acquirente. Credo che sia il caso di fare ulteriori valutazioni in merito, ammesso e non concesso che ne siano state già fatte in precedenza.
Per imballare le Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche è necessario seguire dei sistemi complessi che, oltre a determinate specifiche tecniche, si basano su materiali diversi: dai pallet di legno agli involucri di plastica. Come è possibile garantire un riutilizzo efficiente del packaging in questi casi?
Potrebbe essere un’operazione fattibile a patto di avere imballaggi standardizzati, ovvero riutilizzabili in maniera semplice, replicabile e poco impattante sulle filiere di reverse logistic. Definire uno standard a livello europeo prevede, però, un iter lungo e complesso che, spesso, si rivela non praticabile. Inoltre, c’è da considerare la varietà delle marche e dei modelli dei prodotti. Nel caso delle AEE, non è detto che il packaging di un frigorifero sia adatto a trasportarne un altro, ed è ovvio che non si possono produrre elettrodomestici tutti uguali. Gli aspetti di marketing sono mossi dalla domanda del consumatore che, a sua volta, porta a prodotti e a packaging differenti.
La Commissione ha proposto un Regolamento invece di una Direttiva. È un vantaggio?
A differenza del Regolamento, direttamente applicabile agli Stati membri, la direttiva dev’essere recepita a livello nazionale, seguendo quelle che sono le indicazioni europee. A volte, il recepimento viene interpretato come un vantaggio per l’industria del Paese. Nel caso degli imballaggi, questa prassi si è apparentemente ribaltata anche nel recente passato, fissando obiettivi più sfidanti rispetto a quelli richiesti dall’Europa (vedi il caso del legno). Nel contempo tali obiettivi hanno fatto da volano a risultati ambientalmente ancora più di rilievo, rispetto anche ad altri Paesi Europei. Una Direttiva Europea è in sintesi uno strumento più flessibile, che consente di valorizzare al meglio le caratteristiche specifiche di un Paese, garantendo nel contempo migliori performance.
Come si inserisce Erion Packaging in questi cambiamenti? Quali servizi offrirà ai propri Soci in quest’ottica?
Abbiamo pensato a tre azioni specifiche: uno stretto monitoraggio dell’iter normativo, la partecipazione alle richieste di pareri e audizioni; l’allineamento con i nostri soci rispetto a tutte le novità sul tema. Inoltre, quando il Regolamento sarà approvato, Erion Packaging sarà in prima fila sul versante della compliance, del riutilizzo e del raggiungimento degli obiettivi.
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