Allungare la vita degli oggetti per evitare il più possibile che diventino rifiuti: è un obiettivo fondante delle strategie europee per la gestione dei rifiuti e del Piano d’azione Ue per l’economia circolare.
Prima di tutto c’è la prevenzione: tutto ciò che può evitare a monte la formazione di nuovi rifiuti, dunque, è benvenuto e va incoraggiato. Il riuso, la riparazione, la vendita di prodotti di seconda mano sono insomma non solo iniziative di buonsenso ma anche ingredienti fondamentali per la strategia ambientale europea e il Green Deal.
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Gestiti da una cooperativa, gli sgomberi, la selezione degli oggetti, la loro valutazione e la vendita di beni usati non nascono da obiettivi ambientali: l’ambiente e il riuso sono strumenti per aiutare persone in difficoltà.
“Il centro del riuso di San Benedetto del Tronto è una delle nostre attività: lo facciamo con lo scopo nobile di allungare la vita ai beni ma soprattutto per impiegare i ragazzi che accogliamo nella cooperativa”. In poche parole Roberto Bollettini, vicepresidente della cooperativa Hobbit, racconta la mission del Centro del Riuso marchigiano, che la cooperativa gestisce insieme a Picena ambiente.
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Il centro per il riuso di Solidança nasce nel 1997 ed è la più importante struttura per il riuso di tutta la Catalogna. Attualmente conta 119 dipendenti di cui il 65% sono lavoratori in situazioni di difficoltà. Ogni anno gestisce oltre 4mila tonnellate di rifiuti tessili e 80 tonnellate di Raee. “Miriamo alla tutela dell’ambiente”
Trasformare vecchi tessuti in un cappotto nuovo, creare da una vecchia libreria un mobile d’arredamento per la casa o riparare elettrodomestici e cellulari che sembravano ormai da buttare: sono queste le attività che caratterizzando il lavoro quotidiano del centro per il riuso di Solidança, organizzazione no profit nata a Barcellona nel 1997, che oggi gestisce la più importante struttura per il riuso di tutta la Catalogna.
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L’usato vive un problema culturale che deve diventare un problema politico, per realizzare fino in fondo la transizione ecologica di cui tanto si parla.
Il mondo dell’usato e i centri del riuso scontano un problema culturale, che fa affrontato a livello politico se vogliamo veramente dar vita ad una transizione ecologica. Cosa serve per liberare le potenzialità ambientali ed economiche di questa filiera? I centri dell’usato, poi, come abbiamo visto, ad oggi fanno riferimento a modelli diversi: questa diversità è un limite? Ne parliamo con Alessandro Stillo, presidente di Rete ONU che – dai mercatini delle pulci ai negozi conto terzi – raccoglie circa 13 mila operatori dell’usato.
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Nel piccolo comune tarantino un centro del riuso comunale, co-gestito dal circolo locale di Legambiente, ha ridotto gli abbandoni di frigoriferi e materassi nei campi, e aiutato persone in difficoltà. Gratuitamente.
Parlare di centri del riuso significa occuparsi di realtà solo parzialmente omogenee tra loro, accomunate da alcuni elementi, come l’intreccio tra temi ambientali e istanze sociali, ma divise da altri. Uno degli elementi che differenzia i centri del riuso è il rapporto con l’economia. Mentre ci sono alcuni centri, soprattutto quelli più strutturati, che fanno quadrare i conti o almeno ci provano, ce ne sono altri che non hanno questo obiettivo. “Nel centro del riuso di Maruggio l’iniziativa è impostata da sempre sulla totale gratuità, sia ovviamente nel dare che nell’avere”, ci racconta Gianfranco Cipriani, presidente del circolo Legambiente di Maruggio, cinquemila abitanti in provincia di Taranto.
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Ai margini della città di Dublino, una vecchia centrale termica è stata trasformata in un centro per il riuso aperto alla cittadinanza. Un luogo nato per accogliere le imprese sociali della zona che volevano contribuire attivamente alla lotta contro lo spreco e la disoccupazione. “Abbiamo voluto dare il nostro contributo”
Nel quartiere Ballymun (Dublino), la vecchia centrale termica è stata trasformata in un centro per il riuso aperto alla cittadinanza, noto come “Rediscovery Centre”. Un luogo nato per accogliere le imprese sociali della zona, alla ricerca di una sede in cui poter lavorare insieme al servizio della comunità locale.
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Rrreuse raccoglie oltre 850 imprese sociali e centri per il riuso di 27 Paesi tra Europa e Stati Uniti. Solo nel 2019 grazie al riuso, alla riparazione e alle attività di riciclo ha sottratto oltre un milione di tonnellate di rifiuti alle discariche. La pandemia ha però rallentato il settore. “Serve ripensare l’economia”
“Insieme ad alcuni colleghi – racconta a EconomiaCircolare.com Paolo Ferraresi, uno dei primi fondatori del network – ci siamo accorti che le imprese sociali avevano raggiunto elevati gradi di eccellenza nei servizi ambientali ed erano pioniere nel settore dell’usato e del riciclo. Da qui è partita l’idea di creare una piattaforma europea che all’inizio era costituita da organizzazioni di paesi come l’Italia, la Spagna, il Belgio, Germania e Regno Unito, che già da tempo lavoravano nel settore dei riuso. Alla fine di un processo durato circa due anni e attraverso un paio di progetti finanziati dalla DG Ambiente della Commissione europea, nel febbraio 2001 i membri fondatori di Rreuse si sono incontrati a Barcellona per formalizzare la nascita della rete”.
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Perfettamente in linea con le direttive europee ma ancora quasi clandestini e lasciati in un limbo normativo che ne soffoca le potenzialità ambientali, sociali, economiche. Un viaggio nel mondo dei centri italiani del riuso. A temi come remanufacturing, rigenerazione e riuso il Laboratorio Ref Ricerche dedica un approfondimento in uscita il 23 marzo, da cui prende le mosse questo articolo
“Fare il massimo con il minimo”, ci dice con un sorriso che si può solo immaginare per colpa del Covid Daniele Guidotti, musicista ed ecologista, animatore del centro del riuso di Capannori. Un centro che ha nel nome la sua mission, Daccapo, per ribadire che qui si ricomincia, qui si aprono altre strade. Un progetto che è partito dall’intuizione dell’Associazione Ascolta La Mia Voce Onlus insieme alla Caritas Diocesana di Lucca, fino a coinvolgere i comuni di Lucca e Capannori, e le rispettive aziende di gestione rifiuti, Sistema Ambiente e Ascit.
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“Quando siamo nati non si parlava neanche di economia circolare”: così la presidente Marina Fornasier racconta gli esordi di una realtà che, nata nel 1979, oggi dà lavoro a circa 200 persone, di cui la metà sono seguite dai servizi sociale, tramite 5 ecocentri. “Finché non lo hai venduto è ancora rifiuto”
Erano gli anni del boom economico, del consumismo rampante, e Vicenza è una città molto ricca coi suoi capannoni e l’industria che macina risultati, con l’eroina che fa la sua comparsa in città: un gruppo di persone avverte già allora i rischi in questa idea di sviluppo, che oggi chiamiamo lineare. Così, nel 1979, nasce Cooperativa Insieme, attorno all’intreccio tra temi ambientali, la riduzione dei rifiuti, e sociali, l’aiuto a persone fragili e in difficoltà: “Quando ancora non esisteva, o stava appena nascendo, la forma giuridica della cooperazione sociale e ancora non si parlava di economia circolare”, ci racconta la presidente Marina Fornasier.
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Lanciato da Danilo Boni con Maurizio Bertinelli e supportato dal Centro di Ricerca Rifiuti Zero di Capannori e da Zero Waste Italy, il censimento, ancora in corso, mira a costruire una rete e a condividere le pratiche migliori
I rifiuti meno problematici sono quelli che non generiamo. Un’evidenza messa nero su bianco dalla direttiva quadro sui rifiuti (la 2008/98/CE) e dalla gerarchia europea che a monte di tutte le opzioni mette il riuso e quindi la prevenzione del rifiuto. Se lo guardiamo con gli occhi dei produttori e dell’industria, il riuso non è che un diletto per anime belle. E così è stato considerato anche dalle istituzioni, prova ne sia il grandissimo ritardo nella pubblicazione dei decreti attuativi per la preparazione al riutilizzo attesi da oltre 10 anni.
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Il direttore del Centro ricerca rifiuti zero del Comune di Capannori spiega cosa si deve fare per rilanciare la filiera del riuso. “Se già oggi, senza che il pubblico abbia investito un centesimo, abbiamo 80mila addetti impiegati nel settore della vendita dell’usato, sarebbe facile moltiplicare questi posti di lavoro col PNRR”
“Già oggi rappresentano un indotto occupazionale non irrilevante, è inaccettabile il ritardo delle istituzioni sulla riparazione e sul riuso”. Rossano Ercolini – presidente dell’Associazione Zero Waste Europe e di Zero Waste Italy, direttore del Centro ricerca rifiuti zero del Comune di Capannori, Goldman Environmental Prize nel 1023 – ci aiuta a raccontare le potenzialità della filiera nazionale del riuso, e i ritardi della politica. Anche in vista della chiusura del Piano nazionale di ripresa e resilienza.
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