Dire miniere urbane significa evocare l’idea di beni preziosi, che occorre cercare per rendere disponibili, ma, anche, che si trovano molto vicino a noi, nelle nostre città. E infatti, nel caso dell’urban mining, le miniere sono le apparecchiature elettriche ed elettroniche dismesse dalle quali è possibile estrarre materie preziose o rare rispetto ai giacimenti minerari, oppure il cui isolamento è necessario ai fini di rigenerazione, riuso e riparazione.
Come è intuitivo, per estrarre tali materie è necessaria una tecnica complessa, che richiede specializzazione ed innovazione continua: servono, dunque, soggetti tecnicamente ed imprenditorialmente idonei a svolgere la relativa attività. Sotto il profilo della gestione, quel che occorre è, in primo luogo, una serie di norme che accompagni tutto il ciclo: dalla mappatura dei soggetti cui si demanda l’estrazione, alla facilitazione della raccolta a fine uso di questo tipo di scarti, all’approntamento di un apparato capace di assicurare che essi, una volta conferiti correttamente, arrivino alle competenti stazioni di estrazione, senza andare perduti.
La buona notizia è che, nel nostro Paese, un sistema che sappia rispondere alle necessità appena elencate esiste, è normato, è pensato in ottica di economia circolare, e prevede incombenti, responsabilità e titolarità dell’onere delle spese per ciascun attore del procedimento.
Ma allora, perché invece la raccolta RAEE non funziona?
Poiché per formulare ipotesi su cosa manchi è sempre buona norma fare l’inventario di quel che c’è, ripetiamo anzitutto che la struttura normativa esiste: c’è il decreto legislativo 49 del 2014, modificato ed armonizzato anche alla luce delle direttive in materia dell’Unione Europea e ci sono anche regolamenti UE – in quanto tali, direttamente operativi negli Stati membri – che tendono a garantire il tracciamento dei prodotti, ad esempio tramite il recentemente istituito passaporto digitale del prodotto, o per mezzo di altre specifiche norme finalizzate alla trasparenza circa la sorte di determinati prodotti di consumo invenduti.
La mappatura e la stazione di coordinamento? Presenti anche quelle: in esecuzione del regolamento UE n. 185 del 2007 è stato istituito il Comitato di Coordinamento RAEE, operante sotto la supervisione del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, che gestisce, tra l’altro, l’elenco a cui devono iscriversi tutti gli impianti di trattamento di RAEE.
Il CdC RAEE – che esplicitamente si richiama all’ottica dell’economia circolare – ha fissato punti importanti, ponendo la responsabilità della gestione in capo ai produttori di apparecchiature elettriche ed elettroniche e bilanciando i costi di gestione e di smaltimento tra produttore (per alcuni tipi di RAEE) e consumatore (che, acquistando un apparecchio elettrico o elettronico, paga un cosiddetto eco-contributo)
Inoltre, il CDC RAEE ha stabilito la gratuità del conferimento, che può avvenire presso le isole ecologiche, o anche presso i punti di vendita; e, certo non ultimo, ha previsto un sistema di sanzioni nel caso di violazione della normativa prodotta: al punto che, come emerge da una banalissima ricerca su Google con i termini RAEE e smaltiment, sono fiorite le imprese (private) che offrono i propri servizi alle aziende per evitare loro di incorrervi, attraverso un processo “virtuoso” che le stesse agenzie dichiarano di garantire.
Eppure, è lo stesso CDC RAEE ad informare che – in assenza di diminuzione sia del consumo sia della raggiunta obsolescenza – proprio la raccolta dei RAEE provenienti dalle più diffuse e più spesso sostituite apparecchiature elettriche ed elettroniche (ossia tv e monitor) è diminuita nel 2023 del 32% rispetto al 2022; e che la raccolta relativa alle altre quattro categorie di RAEE (frigoriferi, condizionatori, scalda-acqua, macchine per lavare, piccoli elettrodomestici e sorgenti luminose) è rimasta sostanzialmente uguale a se stessa.
Dove si trova, l’intoppo (ammesso e non concesso che sia uno solo)?
di Giovanna Vernarecci
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