Le REE, acronimo di Rare Earth Metals, sono un gruppo di 17 elementi facenti parte della famiglia dei metalli. Questi sono suddivisi a loro volta in base al peso atomico in: LREE, le cosiddette Terre Rare Leggere, MREE – Terre Rare Medie – e HREE, vale a dire le Terre Rare Pesanti.
Più nello specifico si tratta di 17 elementi chimici: Scandio, Ittrio e i 15 lantanoidi ovvero, nell’ordine della tavola periodica, Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio.
Il termine “terre rare” venne assegnato a questi speciali elementi chimici presenti nei minerali non per la loro scarsa presenza sul Pianeta, ma per via della loro difficile identificazione oltreché per la complessità del processo di estrazione e lavorazione del minerale puro. Oltre al sopracitato acronimo REE, le terre rare vengono abbreviate anche con la sigla RE (Rare Earths).
La prima scoperta risale al 1787, quando il tenente dell’esercito svedese Carl Axel Arrhenius rilevò un minerale che in realtà aveva al suo interno un mix di terre rare, dal quale 16 anni più tardi, nel 1803, venne isolato il Cerio.
Un altro svedese, il chimico e mineralista Carl Gustav Mosander, nel 1839 asserì che le terre rare erano miscele di ossidi elementari. Mosander rilevò – proprio da un’analisi sul Cerio – il Lantasio, e successivamente l’Erbio, il Terbio e il Sidimio, che si scoprì essere una miscela tra due degli attuali 17 elementi, Praseodimio e Neodimio, come spiegò il chimico Carl Auer von Welsbach qualche anno più tardi, nel 1885.
La quasi totalità delle terre rare vennero scoperte proprio dal 1839 al 1900.
Il Promezio, l’ultima, venne invece creata in modo artificiale nel 1947.
Dall’economia rinnovabile a quella militare e aerospaziale, passando per il commercio di auto elettriche, e poi, ancora, la fibra ottica e la produzione di smartphone: le terre rare sono fondamentali per l’economia del presente e del futuro, nel mondo. Più nello specifico e nel pratico, ecco alcuni esempi per i quali vengono utilizzate: nel settore dell’automotive – specie per quello elettrico ed ibrido, ormai in ascesa – per le batterie ricaricabili, come magneti permanenti per le turbine eoliche e per la costruzione di motori elettrici; possono diventare fosfori per TV e LCD e più in generale sono importanti per la creazione di tutti i dispositivi elettronici di ultima generazione; inoltre servono per sviluppare tecnologie avanzatissime nel campo dell’aerospazio, della difesa e delle energie rinnovabili, ma anche nel settore medico, e perfino in quello petrolchimico, nel processo di raffinazione del petrolio greggio.
In generale, dunque, le terre rare sono molto ambite dalle grandi potenze mondiali. Attualmente la Cina è l’esportatore di terre rare più importante al mondo, con una produzione annua di circa 130mila tonnellate (dati del 2019) e detenendo circa il 37% delle riserve mondiali. Seguono gli Stati Uniti – in risalita – con il 12%, il Myanmar (10,5%) e l’Australia (10%).
In realtà sembrerebbe che i numeri in Cina siano ben più elevati, con estrazioni spesso illegali. Per le terre rare non esiste un mercato ufficiale, di conseguenza raffinatori e aziende – prevalentemente cinesi, americane e giapponesi – interessate all’acquisto, conducono trattative private, con prezzi fatti sul momento. Per questo il mercato subisce importanti oscillazioni, dettate principalmente da ciò che decide la Cina. Eppure qualcosa nello stato dell’Asia orientale si sta muovendo, con il governo che ora sembra pronto a regolamentare il mercato, oltreché a migliorare tutta la filiera – che prevede l’estrazione, l’utilizzo e lo smaltimento – con l’avvio del progetto per un polo innovativo dedicato alla ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali provenienti da queste risorse.
La lotta di potere tra Stati Uniti e Cina, però, sembra non voler cessare e si è spostata in Groenlandia, il luogo con il sottosuolo più ricco di terre rare al mondo e ambitissimo dalle due superpotenze mondiali. Anche se la ribellione e l’opposizione agli scavi del popolo groenlandese e la conseguente vittoria del partito di sinistra ambientalista Inuit Ataqatigiit alle elezioni dello scorso aprile hanno fermato, per il momento, la creazione di una miniera dedicata alle terre rare, altamente nociva per gli abitanti e per l’ambiente.
di Alessandro Marini
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