I problemi economici ed ambientali che attanagliano la nostra società sono noti da tempo. Una via per uscire da un sistema lineare degenerativo viene tracciata all’interno del Circularity Gap Report 2023, lo studio di Circle Economy, in collaborazione con Deloitte, presentato lo scorso 16 gennaio a Davos, in occasione del World Economic Forum. [Lo abbiamo raccontato qui]
Il report espone evidenze su come il nostro modello economico ci abbia spinto ad oltrepassare una serie di confini, con conseguenze pericolose ed imprevedibili. Presenta, però, anche soluzioni. “L’analisi mostra – scrivono nel report – come i bisogni e i desideri delle persone, come l’alimentazione, la mobilità, la casa e i beni di prima necessità possono essere soddisfatti entro i limiti planetari. La chiave di queste soluzioni è rappresentata dai principi circolari: alcuni così semplici che ci si chiede perché non si sia sempre fatto così. Altri che richiederanno, invece, una collaborazione tra una serie di attori dell’industria e del governo, e un cambiamento radicale nello stile di vita dei più ricchi del mondo”.
L’impatto ambientale registrato negli ultimi anni può essere attribuito in gran parte all’aumento delle emissioni di gas ad effetto serra (GHG) ma non solo. L’estrazione e l’uso dei materiali provoca forti danni ambientali: determina, ad esempio, oltre il 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico.
Alla base di questo sistema economico lineare vi è, dunque, un sovrasfruttamento delle risorse del Pianeta, senza che per altro questo si traduca necessariamente in un maggiore benessere per le popolazioni. “In molte parti del mondo, – si legge ancora nel report – l’iperconsumo è diventato la norma, mentre in altre non sono neanche garantiti gli standard di vita minimi”. In pratica, nel soddisfare i bisogni, reali o indotti, della società stiamo oltrepassando cinque dei nove confini planetari – concetto introdotto nel 2009 da Johan Rockström, ex direttore dello Stockholm Resilience Centre (SRC) dell’Università di Stoccolma, insieme a 28 scienziati di fama mondiale – che sono cruciali per la salute del Pianeta: cambiamento climatico, perdita di biodiversità, cambiamento del sistema di terra (uso del suolo), inquinamento chimico e ciclo dell’azoto e del fosforo. L’acidificazione degli oceani – guidata anche dall’aumento vertiginoso delle emissioni di carbonio – è poi pericolosamente vicina al suo punto di svolta.
In questo quadro drammatico giocano un ruolo centrale gli eccessi di alcuni Paesi e di alcuni sistemi: solo otto nazioni (Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito, Stati Uniti, Canada e Russia) sono responsabili dell’85% delle emissioni di gas serra nel 2015.
Inoltre, un maggiore consumo di materiali non è del tutto collegato all’aumento della popolazione: negli ultimi 50 anni, la popolazione globale è raddoppiata ma l’estrazione di materiali è più che triplicata dal 1970, ed è quasi raddoppiata dal 2000, raggiungendo oggi i 100 miliardi di tonnellate.
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Pur essendo strumentale all’innalzamento del tenore di vita, lo studio sottolinea come, dopo un certo livello di consumo, il benessere cessa di aumentare.
L’analisi individua, infatti, diversi esempi di Paesi in cui un’impennata nell’uso dei materiali è andata a scapito degli indicatori di benessere, come l’aspettativa di vita, l’alimentazione, l’uguaglianza, l’istruzione e l’accesso all’energia.
Ad esempio, Singapore e Lituania hanno registrato il maggiore aumento dell’impronta materiale tra i 148 Paesi studiati nel report per il periodo che va dal 2005 al 2015, ma la Lituania non ha registrato alcuna crescita media negli indicatori di benessere (un piccolo aumento dell’aspettativa di vita è stato compensato da una piccola diminuzione della soddisfazione di vita).
Come sappiamo, il Pianeta ospita oggi 8 miliardi di persone e per nutrire, trasportare e vestire tutte le popolazioni del mondo, l’economia globale consuma 100 miliardi di tonnellate di materiali all’anno. Inoltre, entro il 2050 si prevede che l’estrazione e l’uso di materiali raddoppieranno rispetto ai livelli del 2015. Senza strategie di gestione dei materiali che ci mantengano all’interno dei confini planetari, le Nazioni Unite hanno messo in guardia da un possibile “collasso totale della società”, causato da catastrofi climatiche, vulnerabilità economiche, instabilità politiche e fallimento degli ecosistemi.
Appurato che uno sviluppo che includa uno sfruttamento smisurato delle risorse non porta a reali benefici per le persone, si apre quindi la necessità di trovare un sano equilibrio tra la vita umana e i limiti ecologici: in questo, sottolinea ancora lo studio, l’economia circolare – che dà la priorità a soluzioni sistemiche che ci aiutano a usare meno, più a lungo, riutilizzare ed evitare materiali tossici – ha un ruolo chiave.
Secondo il report, l’adozione di soluzioni circolari per quattro sistemi chiave individuati – l’edilizia, il sistema alimentare, la mobilità e i trasporti, i beni di consumo e i prodotti industriali – potrebbe soddisfare il nostro fabbisogno con appena il 70% dei materiali che utilizziamo attualmente, e soprattutto potrebbe riportare i segnali vitali del Pianeta entro i limiti di sicurezza. Andando oltre il riciclo, l’aumento dell’uso di materiali secondari deve essere accompagnato da una gestione intelligente dei materiali che permetta di fare di più con meno, di usare più a lungo e di sostituirli con materiali rigenerati, gestiti in modo sostenibile.
Non sembra esserci, dunque, via d’uscita se non ridimensionare i nostri stili di vita: attualmente consumiamo e sprechiamo troppo. L’economia circolare può essere un mezzo per alleviare le pressioni sull’ambiente e dare forma a una società prospera per le persone ma questo richiede un uso più efficiente, e talvolta minore, dei materiali.
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Nonostante le esigenze che scaturiscono da quanto detto fin qui, sappiamo che la circolarità è in inversione di tendenza: nel 2023 il tasso di circolarità dell’economia globale è sceso ancora ed è arrivato al 7,2%. Un numero davvero esiguo, in rapporto ai 100 miliardi di tonnellate che l’economia globale consuma, ma allora a quanto dovremmo ambire?
“Sebbene il nostro obiettivo – specificano nel report – possa sembrare il raggiungimento di un’economia completamente circolare, questo non è tecnicamente possibile: c’è un limite pratico al volume di materiali che possono essere rimessi in circolo. Questo è dovuto in parte a vincoli tecnici, ma anche perché alcuni materiali vengono bruciati durante il loro utilizzo (si pensi ai combustibili fossili), mentre altri sono bloccati in scorte a lungo termine per molti anni, rendendoli indisponibili per il riciclo. Inoltre, i materiali che possono essere riciclati, come il metallo, la plastica e il vetro, possono essere riciclati solo poche volte, poiché ogni ciclo degrada la qualità e richiede almeno un po’ di materiale vergine. L’enorme volume di materiali che utilizziamo rappresenta una sfida: ci vorrebbe un’economia molto lenta per ridurre l’uso dei materiali ed eguagliare la nostra capacità di riciclo”.
Le strategie slow mirano infatti a mantenere i materiali in uso il più a lungo possibile, ad esempio attraverso la progettazione per la durevolezza e la riparabilità.
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di Silvia Santucci
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