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Cos’è l’Industria 5.0 e perché può guidare uno sviluppo più equo, oltre il profitto

La direzione generale Innovazione e Ricerca della Commissione europea indica politiche industriali più resilienti e “human centric”. L’opinione della europarlamentare Tiziana Beghin: “Basta consumo e produzione fine a sé stessi”

Neanche il tempo di capire se è davvero compiuto il passaggio dall’industria 2.0 (basata su energia e petrolio) a quella 4.0 (fatta di intelligenza artificiale e tecnologie digitali), o chiedersi perché abbiamo preso a numerare in questo modo le rivoluzioni industriali per definire i contorni dello sviluppo, che già si affaccia all’orizzonte un nuovo paradigma.

È l’industria 5.0, la nuova visione di impresa promossa dalla Commissione europea, sotto consiglio dell’ESIR, un gruppo di esperti di alto livello che fornisce consulenza per sviluppare una politica di ricerca e innovazione lungimirante e trasformativa.

Oltre il profitto, per le persone e l’ambiente

Industria 5.0, secondo gli esperti, dovrà integrare l’attuale paradigma 4.0, puntando su ricerca e innovazione per la transizione verso un’industria europea sostenibile, incentrata sull’uomo e resiliente. Si tratta di una quinta rivoluzione, quasi più culturale che industriale, volta a valorizzare le nuove tecnologie e raggiungere obiettivi sociali che vadano oltre i posti di lavoro e la crescita, nel rispetto dei confini del pianeta e del benessere del lavoratore, nuovo protagonista del processo produttivo. Nelle parole dell’europarlamentare impegnata nella Commissione per il commercio internazionale,  Tiziana Beghin, l’industria 5.0 dovrebbe farsi “strumento per combattere le diseguaglianze, l’inquinamento e le violazioni dei diritti umani fondamentali”.

Che vuol dire Industria da 1.0 a 5.0?

Ma andiamo con ordine. Perché usiamo questa nomenclatura che rimanda a modelli di motore più che a passaggi della storia? Il riferimento è all’innovazione tecnologia alla base delle trasformazioni dei sistemi produttivi: Industria 1.0 è il prodotto della prima rivoluzione industriale con la macchina a vapore (‘700), Industria 2.0 è data dalla seconda rivoluzione con motore a scoppio e petrolio (‘800), Industria 3.0 segue alla rivoluzione informatica (‘900), mentre Industria 4.0 si riferisce alla quarta rivoluzione caratterizzata da intelligenza artificiale e automazione (2000). “Industria 4.0” è di fatto il termine coniato nel 2011 alla Fiera di Hannover, come ipotesi di progetto per un gruppo di lavoro che ha in seguito presentato al governo federale tedesco delle raccomandazioni per realizzare un Piano di ammodernamento del sistema produttivo.

Industria 4.0, automazione e digitale

Il modello tedesco, che prevedeva investimenti su infrastrutture, scuole, sistemi energetici, enti di ricerca e aziende, è stato fonte di ispirazione per tutti gli altri Paesi. Anche in Italia è stato presentato nel 2016 un Piano Nazionale Industria 4.0 – 2017-2020, dal Ministero dello Sviluppo Economico. È alla guida dell’industria contemporanea, dunque, la quarta rivoluzione che ha portato nelle fabbriche un esteso utilizzo dei dati, l’interazione uomo-macchina e costanti passaggi tra digitale e reale.

Il suo obiettivo è aumentare la sinergia e l’interconnessione tra tutti i processi coinvolti per passare dal mercato di massa alla iper-personalizzazione dei prodotti, generati da processi industriali in cui le macchine sono in comunicazione tra loro tramite strumenti digitali che permettono una iper-automazione. Secondo un articolo pubblicato su Nature Sustainability dal direttore dell’Earth Institute alla Columbia University, Jeffrey Sachs e altri esperti, la quarta rivoluzione industriale sarebbe una delle sei trasformazioni necessarie per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’ONU al 2030.

 

di Nicoletta Fascetti Leon

 

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