L’estrazione di risorse naturali dalla Terra è triplicata negli ultimi cinque decenni, in relazione alla massiccia costruzione di infrastrutture in molte aree del mondo e agli alti livelli di consumo di materiali, soprattutto nei Paesi a reddito medio-alto. E si prevede che il consumo globale di materie prime aumenterà del 60% entro il 2060, con conseguenze disastrose per il clima e l’ambiente.
La crescita dell’uso delle risorse dal 1970 è passata da 30 a 106 miliardi di tonnellate, ovvero da 23 a 39 chilogrammi di materiali utilizzati in media per persona al giorno. L’estrazione di risorse naturali è aumentata di quasi il 400% dal 1970 a causa dell’industrializzazione, dell’urbanizzazione e della crescita demografica. Sono alcuni dei dati contenuti nel Global Resource Outlook sviluppato dall’International Resource Panel per il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (Unep).
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Secondo il rapporto, lo sfruttamento dei materiali naturali della Terra è già responsabile del 60% dell’impatto del riscaldamento globale, compreso il cambiamento di destinazione d’uso dei terreni, del 40% dell’impatto dell’inquinamento atmosferico e di oltre il 90% dello stress idrico globale e della perdita di biodiversità legata ai terreni. Tutto ciò, sostengono gli autori del rapporto, “potrebbe far deragliare gli sforzi per raggiungere non solo gli obiettivi globali in materia di clima, biodiversità e inquinamento, ma anche la prosperità economica e il benessere umano”.
L’estrazione e la lavorazione della biomassa (ad esempio le colture agricole e la silvicoltura) sono responsabili del 90% della perdita di biodiversità e dello stress idrico legati alla terra, nonché di un terzo delle emissioni di gas serra. Analogamente, l’estrazione e la lavorazione dei combustibili fossili, dei metalli e dei minerali non metallici (sabbia, ghiaia, argilla) rappresentano insieme il 35% delle emissioni globali.
La portata degli impatti legati al modo in cui le risorse materiali vengono estratte e lavorate per la nostra economia globale è spaventosa: causa oltre il 55% delle emissioni di gas serra, fino al 40% degli impatti sulla salute legati al particolato, e più del 90% della perdita totale di biodiversità legata all’uso del suolo, che è il perno di ecosistemi in salute e, dunque, della vita sulla Terra.
Il problema del consumo eccessivo di risorse, fa notare il report, è fondamentalmente legato a un contesto di marcata disuguaglianza a livello globale. I Paesi a basso reddito consumano sei volte meno materiali e generano un impatto climatico dieci volte inferiore rispetto a chi vive nei Paesi ad alto reddito. Di contro, i Paesi a reddito medio-alto hanno più che raddoppiato l’uso delle risorse negli ultimi cinquanta anni, come conseguenza della loro crescita infrastrutturale e alla delocalizzazione di processi ad alta intensità di consumo di risorse. Mentre l’uso pro capite delle risorse e i relativi impatti ambientali nei Paesi a basso reddito è rimasto relativamente basso e quasi invariato dal 1995.
Per questo il rapporto invita a dare la priorità alle misure di equità e giustizia sociale rispetto all’esclusiva ricerca della crescita del Pil e propone di intervenire per ridurre la domanda complessiva piuttosto che aumentare semplicemente la produzione green. “Non dobbiamo accettare che il soddisfacimento dei bisogni umani debba essere ad alta intensità di risorse e dobbiamo smettere di incoraggiare lo sviluppo economico basato sull’estrazione. Con un’azione decisa da parte dei politici e del settore privato è possibile garantire una vita dignitosa a tutti senza che questo danneggi la Terra”, ha dichiarato Janez Potonik, copresidente dell’International Resource Panel durante la presentazione dello studio.
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di Stefano Rugi
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