MENUMENU
Post di Danilo Bonato, Direttore Generale Erion Compliance Organization
Immaginiamo che la neutralità climatica al 2050 sia effettivamente una priorità. Per come stanno attualmente le cose, tutta la comunità internazionale è destinata a fallire.
Cosa dovrebbe fare l’Italia per vincere la sfida? Nel 2020 il nostro Paese ha generato circa 400 milioni di tonnellate equivalenti di CO2, già al netto di 36 milioni di tonnellate assorbite dalle aree boschive e dalle foreste. Il Ministero della Transizione Ecologica ha stimato che, grazie gli interventi a oggi programmati (contenuti nel PNIEC), al 2050 possiamo sperare di ridurre queste emissioni più o meno della metà, portandoci a 200 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, molto distanti dall’obiettivo “zero emissioni”.
Se questa fosse una dieta, dovremmo discutere di come “perdere” altri 200 milioni di tonnellate di gas serra emessi in atmosfera al 2050.
La maggior parte degli scienziati è concorde nel dire che serve un “cambio di paradigma” e che dobbiamo imparare a muoverci in un contesto Europeo e globale, partecipando attivamente ai grandi progetti internazionali di decarbonizzazione e puntando sulle opzioni più efficaci, promettenti e rispettose dell’ambiente.
Come “perdere” 200 milioni di tonnellate di CO2 equivalente? Ecco un possibile piano:
• 60 milioni dal settore dei trasporti, macchinari agricoli inclusi, che non sta facendo abbastanza per migliorare l’efficienza dei mezzi tradizionali sostituendoli con tecnologie a basso impatto emissivo;
• 50 milioni dagli usi energetici del mondo industriale, che dovrebbe accelerare il processo di efficientamento energetico e di sviluppo delle fonti rinnovabili;
• 30 milioni dal settore residenziale e commerciale, che presenta un potenziale di riduzione delle emissioni decisamente importante collegato all’efficientamento degli edifici;
• 20 milioni dalla trasformazione in chiave circolare dei processi industriali per quanto riguarda gli aspetti non direttamente collegabili agli usi energetici;
• 20 milioni dal contenimento delle emissioni del settore agricolo e della zootecnica;
• 20 milioni dall’utilizzo del suolo e delle superfici boschive e forestali per assicurare l’assorbimento della CO2.
Potremmo davvero riuscirci? Sì, ma solo se sapremo fare bene poche ma essenziali cose, che potremmo chiamare Transizione Ecologica.
Transizione Energetica
Oltre al ben noto cambio nel mix energetico nazionale, che richiede un’accelerazione sulle rinnovabili e sull’elettrificazione degli usi finali da parte di imprese e consumatori, serve una drastica riduzione della domanda di energia, in particolare nella mobilità privata e nel settore civile. L’attuale tasso di riqualificazione degli immobili è largamente insufficiente e andrebbe raddoppiato, mentre occorre puntare con molta più decisione sul trasporto pubblico e condiviso, riducendo significativamente il parco circolante di mezzi di trasporto privato e trasformando la logistica delle merci, rendendola decisamente più sostenibile.
La produzione elettrica dovrebbe più che raddoppiare rispetto a quella attuale e collocarsi ad almeno 700 TWh, tutta derivante da rinnovabili. Inoltre, il nostro Paese non può ignorare l’idrogeno verde e dovrebbe assegnare alla sua produzione una quota di almeno il 20% dell’energia elettrica generata da rinnovabili.
Economia circolare e rigenerativa
In un recente studio, la Fondazione Ellen MacArthur sostiene che la componente non energetica della produzione industriale dei beni, unita al settore agricolo e degli allevamenti sarebbero responsabili del 45% delle emissioni di gas serra a livello mondiale. Tutto quello che servirebbe fare è ben rappresentato nel nuovo piano dell’Unione Europea per l’economia circolare e riguarda sia il mondo industriale e dei servizi, sia il settore agroalimentare e della bioeconomia. L’industria, grazie all’ecodesign, può contribuire ad abbattere le emissioni ripensando i prodotti e i processi in chiave circolare, mentre il settore agricolo può adottare la strategia sistemica “Farm to Fork” adattandola alle peculiarità italiane.
Superfici forestali
La transizione energetica e la trasformazione dell’economia da lineare a circolare possono avvicinarci all’obiettivo, ma resterà comunque il problema di qualche decina di milioni di tonnellate di gas serra residue che andranno compensate con soluzioni in grado di garantirne il sequestro. Probabilmente le strategie migliori che avremo sono rappresentate dai programmi di tutela delle aree marine e dall’incremento dell’assorbimento delle superfici forestali.
Transizione sociale
Tutti questi interventi lasceranno il segno sulla nostra società: i cittadini dovranno adottare nuovi comportamenti nella vita di tutti i giorni come nuove abitudini alimentari, passare al trasporto pubblico e attuare interventi strutturali per la riqualificazione delle loro abitazioni.
Quanto è fattibile in Italia un progetto di tale portata?
Uno dei principali aspetti da considerare è relativo alle politiche finanziarie. L’economista Robert Pollin stima che la spesa media annua per gli investimenti in tutta l’economia globale, sia pubblici sia privati, necessaria a raggiungere l’obiettivo della neutralità climatica al 2050, dovrebbe essere pari al 2,5% del prodotto interno lordo (PIL). Stando ai calcoli con un PIL di circa 1.700 miliardi di euro, l’Italia dovrebbe avere a disposizione per il suo Green Deal almeno 40 miliardi/anno da qui al 2027, per un totale di 240 miliardi di euro. Il Recovery Plan europeo ne mette a disposizione circa un terzo. Occorre dunque trovare risorse aggiuntive. Pensiamo solo alla riduzione dei costi di cui consumatori e imprese potranno beneficiare grazie all’efficienza energetica, per non parlare dei vantaggi nel disporre di prodotti e servizi di migliore qualità ecologica e della riduzione delle esternalità collegate ai disastri ambientali causati da eventi climatici estremi.
Ci sono poi nodi politici e tecnici da sciogliere, come ad esempio il fabbisogno di suolo per installare un quantitativo di pannelli solari e di turbine eoliche tale da soddisfare la domanda di energia, per non parlare della questione dell’intermittenza, della trasmissione e dello stoccaggio dell’energia prodotta con le rinnovabili, che diventerà un tema cruciale a partire dal 2030. Le politiche industriali del nostro Paese dovranno promuovere le innovazioni tecniche emergenti a livello internazionale e il Governo stesso dovrà diventare investitore in efficienza energetica, oltre che acquirente di rinnovabili. Inoltre, non sarà più rinviabile il rafforzamento delle politiche mirate a ridurre il consumo di petrolio, carbone e gas naturale.
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