Atteso, temuto, invocato: finalmente il PiTESAI, il Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee, comincia a diventare realtà. Il 16 luglio il ministero della Transizione ecologica ha lanciato la consultazione pubblica di quello che dovrà essere lo “strumento di pianificazione generale delle attività minerarie sul territorio nazionale, volto a individuare le aree dove sarà possibile svolgere o continuare a svolgere le attività di ricerca, prospezione e coltivazione degli idrocarburi in modo sostenibile”. Previsto sin dal febbraio 2019, dalla legge che prendeva le mosse dal primo decreto Semplificazioni (dicembre 2018), il Piano dovrà indicare, dunque, dove e come si potrà continuare a estrarre petrolio e gas. Intanto si dovrà svolgere la consultazione pubblica, che può prendere il via dopo che lo scorso 15 luglio la Direzione generale per le infrastrutture e la sicurezza dei sistemi energetici e geominerari (DG ISSEG) ha trasmesso la documentazione necessaria. La consultazione avrà una durata di 60 giorni a partire dal 16 luglio (data di pubblicazione dell’avviso). Le osservazioni alla documentazione pubblicata dovranno essere inviate all’autorità competente per la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) all’indirizzo mail cress@pec.minambiente.it.
Al di là dei tempi lunghissimi – dall’indicazione del Pitesai sono passati tre governi (Conte I, Conte II e Draghi) – la domanda di fondo è se davvero si può rendere sostenibile lo sfruttamento dei combustibili fossili o se non sia invece il caso di smettere el tutto di estrarli. Domanda legittima, specie alla luce delle nuove indicazioni della Commissione europea (proposte sintetizzate dalla formula “Fit for 55”), che intende raggiungere nel 2030 l’obiettivo di riduzione delle emissioni nette del 55% rispetto ai livelli del 1990 e diventare il primo continente carbon neutral nel 2050. Basti pensare che la Commissione ha proposto lo stop totale ai sussidi diretti e indiretti a petrolio, carbone e gas – mentre l’Italia nel 2020, come ha accertato uno studio di Legambiente, ai “sussidi ambientalmente dannosi” (così come definiti dall’ex ministero dell’Ambiente) ha erogato la bellezza di 35,7 miliardi di euro.
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In questi lunghissimi due anni e mezzo a farla da padrona è stata la moratoria temporanea – scade il 30 settembre 2021 – “legata all’approvazione, su autorizzazioni per nuovi permessi di prospezione, e/o di ricerca e/o di coltivazione di gas e petrolio”. In realtà la moratoria era stata prevista a febbraio 2019 per 18 mesi, con altre due proroghe che si sono poi aggiunte visti i ritardi per la stesura del PiTESAI. Tra l’altro la moratoria non ha riguardato né le istanze di concessione di coltivazioni già presentate né le coltivazioni già in essere. Addirittura non si è applicata per nulla in Sicilia, dove sono proseguiti i rilasci per nuovi permessi di prospezione e di ricerca (che avranno tempi molto lunghi prima di esaurire l’eventuale ciclo di produzione). Fino al 30 settembre, come ha osservato il coordinamento nazionale No Triv, “resteranno sospese le attività di 73 permessi di ricerca, di cui in verità 35 già sono sospesi per istanza del titolare, e 79 istanze pendenti di permessi di ricerca, oltre a 5 istanze di permesso di prospezione in mare”.
Quando ad aprile il minintero della Transizione ecologica aveva rilasciato alcuni decreti VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) per nuove estrazioni (e in un caso addirittura un permesso di ricerca) dall’Adriatico alla Sicilia, proteste si erano levate da più parti. Già a febbraio Enzo Di Salvatore, docente di Diritto costituzionale all’università di Teramo, ricordava che “ad oggi vi è una stratificazione normativa connessa all’iter decisionale che rende abbastanza nebulosa la materia delle trivelle. Senza dimenticare che le comunità locali, quindi i Comuni, nel corso dei vari interventi normativi sono stati esclusi dal poter partecipare all’iter amministrativo-autorizzativo”. A queste mancanze il Pitesai promette ora di sopperire. A patto che sappia tener conto delle nuove disposizioni comunitarie.
Il rischio, infatti, è che il Piano possa arrivare al traguardo già vecchio – così come è avvenuto ad esempio per il Pniec, il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, sul quale il ministero ha promesso da tempo un aggiornamento anche in relazione ai nuovi obiettivi comunitari. I tempi, inoltre, sono davvero risicati. Più volte il ministro Roberto Cingolani ha ribadito che questa volta verranno rispettate le scadenza. Nel Pniec il PiTESAI era previsto entro il 2020. In ogni caso il Piano comunque sarà adottato dopo la procedura della VAS e, con riferimento alle aree su terraferma, d’intesa con la Conferenza unificata. Si tratta, come si può notare, di un iter complesso che dovrà essere realizzato in estate: sarà la volta buona o assisteremo all’ennesimo rinvio?
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di Andrea Turco
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