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Tanta CO2 quanta ne emette la Svezia: ecco il prezzo dei tessili invenduti e distrutti in Europa

Report dell’Agenzia europea per l’ambiente: “La sovrapproduzione e la distruzione sono considerate accettabili nell’industria tessile e hanno persino un senso economico”

Mancano pochi passaggi formali all’entrata in vigore del regolamento Ecodesig (Ecodesign for Sustainable Products Regulation – ESPR) che, tra l’altro, vieterà la distruzione di prodotti tessili invenduti. Ma vale la pena occuparsi del tema, come ha fatto l’Agenzia europea per l’ambiente, perché il divieto varrà per le medie imprese solo dopo sei anni dall’entrata in vigore della norma, mentre le piccole e micro imprese saranno esentate dagli obblighi. E ne vale la pena perché la distruzione degli invenduti (che vale soprattutto per il tessile ma riguarda anche tutti gli altri beni), come vedremo, non è un incidente di percorso ma un dato strutturale del nostro sistema economico che per ottenere i propri obiettivi – produzione sempre maggiore, riduzione dei costi, fatturati sempre più alti – fa leva anche su buchi neri come questo.

1,3 milioni di addetti, 192.000 le aziende della filiera (dati EURATEX), il settore tessile e dell’abbigliamento dell’UE nel 2022 è tornato ai livelli precedenti alla pandemia, con un aumento di fatturato del 14% rispetto al 2021, raggiungendo i 167 miliardi di euro. Nel 2022 gli europei e le europee hanno speso circa 282 miliardi di euro per l’abbigliamento, 630 euro di media pro capite, mentre per le calzature sono stati spesi 68 miliardi di euro: in totale +15% rispetto all’anno precedente (dati Eurostat).

“La distruzione di abiti e altri prodotti tessili restituiti e invenduti – spiega l’agenzia – avviene da decenni nell’industria della moda e del tessile, almeno dagli anni ’80, con effetti negativi significativi sull’ambiente e sui cambiamenti climatici”.

Ma prima di tutto bisogna intendersi sulla terminologia: cosa intendiamo per distruzione dell’invenduto? Ci riferiamo a tutte quelle operazioni che non comportano l’uso del prodotto per lo scopo per il quale è stato realizzato. Il riciclaggio è quindi distruzione, anche se le fibre recuperate verranno utilizzate come nuova materia prima.  E ovviamente lo è l’incenerimento o altre forme di recupero (usare i rifiuti tessili come pezzame per le imprese).

Incertezza sui numeri dei prodotti resi e di quelli distrutti

Il panorama sugli invenduti, sui resi e sulla distruzione di questi prodotti, ci dicono i ricercatore del’AEA, è molto fumoso: dati certi ce ne sono pochi. Detto questo, in base agli studi disponibili, si stima che una forbice tra il 4 e il 9% di tutti i prodotti tessili immessi sul mercato in Europa venga distrutto prima che qualcuno li abbia mai utilizzati. Ci inganneremmo se sottovalutassimo queste percentuali dietro la quali ci sono tra 264.000 e 594.000 tonnellate di camicie, pantaloni, cappotti, blue jeans, scarpe distrutti ogni anno. Se un tir carico di abiti può pesare attorno alle 10 tonnellate, quei numeri ci raccontano di migliaia di tir, tra 26mila e 59mila, zeppi di prodotti distrutti senza essere stati mai indossati. Se un paio di jeans pesa circa mezzo chilo, è come se ne avessimo incenerito, buttato in discarica o tagliuzzati per il riciclo più di un miliardo di paia.

Nel lavoro dell’Agenzia europea per l’ambiente (“The destruction of returned and unsold textiles in Europe’s circular economy”) l’analisi della distruzione dei tessili procede in parallelo con quella dei resi dell’ecommerce. Il motivo è semplice, e ci parla di nuovo dei buchi neri del sistema capitalistico cui si faceva riferimento: una quota considerevole dei resi viene infatti distrutto. “Un esempio di approccio ‘take-make-waste’, che evidenzia l’inefficienza degli attuali sistemi lineari di produzione-consumo, che causano impatti negativi evitabili sull’ambiente e sul clima”.

Il tasso di restituzione dei prodotti venduti online è fino a tre volte superiore a quello dei prodotti venduti nei negozi fisici, ci dice l’AEA. E in Europa è acquistato online l’11% del tessile abbigliamento (dati 2020; quota più che raddoppiata rispetto al 2009). In Europa, il tasso medio direstituzione relativo ai capi di abbigliamento acquistati online è stimato attorno al 20%: un capo su cinque venduto online viene restituito. Per le calzature siamo attorno al 30%: le scarpe e gli stivali invernali sono la categoria più restituita. E fin qui niente di male (o quasi, come vedremo). Ma che fine fanno poi questi prodotti che rispediamo al mittente? “Si stima che il 22-43%, ovvero in media un terzo di tutti i capi di abbigliamento restituiti acquistati online, finisca per essere distrutto”.

C’è dunque un legame piuttosto stretto tra restituzione dei prodotti tessili acquistato online e la loro fine in discarica. Per capire dove si annida il germe della distruzione nella filiera della restituzione, proviamo a raccontare le dinamiche.

Leggi anche: 3,7 miliardi di euro di prodotti elettronici invenduti sono stati distrutti in Europa nel 2022

 

         di Redazione EconomiaCircolare.com

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